Mentre il mainstream
della borghesia cerca di convincerci che la ripresa economica è iniziata, la
realtà che viviamo è ben diversa; la recessione continua e le condizioni di vita
e di lavoro di milioni di lavoratori e di larghe fasce popolari si fanno sempre
più dure.
La chiusura delle fabbriche e i licenziamenti continuano e, per chi lavora, la situazione è critica fra riduzioni salariali, aumento dei carichi, dei ritmi, degli orari di lavoro e dei ricatti padronali.
Il tasso di disoccupazione ufficiale ha sfondato il 12,5% e crescerà ancora nel prossimo anno; quello giovanile è al 40%, con cifre maggiori al sud e fra le donne.
9,2 milioni di persone oggi sono "ufficialmente" povere, tra cui un milione di bambini in povertà assoluta.
La miseria si abbatte su nuovi strati di lavoratori che non riescono più a curarsi, a pagare le bollette, a scaldare la casa.
All’altro polo della società, un 10% di borghesi possiede oltre il 50% della ricchezza nazionale, vivendo nel lusso e nello spreco, beneficiando della crisi di cui sono responsabili.
Alla profonda e prolungata crisi economica del capitalismo, si accompagna la decomposizione del sistema politico borghese e dei suoi vecchi e corrotti partiti che perdono continuamente consensi.
Nonostante lo sfaldamento delle "larghe intese", il governo "Alfetta" continua nella sua nefasta azione.
La legge di stabilità, le privatizzazioni, le sovvenzioni a grandi imprese, alle banche, il continuo taglio alle spese sociali, l’aumento delle tasse per i lavoratori e il blocco contrattuale comportano costi sociali tremendi.
Attraverso queste misure prosegue, quindi, la politica di austerità e di guerra, di saccheggio sociale imposta dall’oligarchia finanziaria e dalla troika UE-BCE-FMI.
Insieme alle misure antipopolari va avanti il piano di trasformazioni reazionarie a livello politico e istituzionale.
L’obiettivo che si prefigura è la modifica dell’art. 138 della Costituzione; in questo modo si punta alla creazione di una Repubblica presidenziale di tipo autoritario, antidemocratica, che estenderà la reazione politica a macchia d’olio.
I fatti dimostrano che nel contesto dell’aggravamento della crisi generale del capitalismo la borghesia, per salvaguardare i suoi interessi e il suo dominio di classe, getta nel fango le libertà conquistate dai nostri padri, diventa sempre più aggressiva e non esita a disfarsi dello stesso ordinamento costituzionale divenuto incompatibile con le fameliche esigenze del capitale finanziario.
In questo scenario, numerose sono le forze servili al capitalismo che svolgono un ruolo di freno, affossando le istanze di cambiamento che provengono da interi settori popolari, criminalizzando la protesta sociale.
La chiusura delle fabbriche e i licenziamenti continuano e, per chi lavora, la situazione è critica fra riduzioni salariali, aumento dei carichi, dei ritmi, degli orari di lavoro e dei ricatti padronali.
Il tasso di disoccupazione ufficiale ha sfondato il 12,5% e crescerà ancora nel prossimo anno; quello giovanile è al 40%, con cifre maggiori al sud e fra le donne.
9,2 milioni di persone oggi sono "ufficialmente" povere, tra cui un milione di bambini in povertà assoluta.
La miseria si abbatte su nuovi strati di lavoratori che non riescono più a curarsi, a pagare le bollette, a scaldare la casa.
All’altro polo della società, un 10% di borghesi possiede oltre il 50% della ricchezza nazionale, vivendo nel lusso e nello spreco, beneficiando della crisi di cui sono responsabili.
Alla profonda e prolungata crisi economica del capitalismo, si accompagna la decomposizione del sistema politico borghese e dei suoi vecchi e corrotti partiti che perdono continuamente consensi.
Nonostante lo sfaldamento delle "larghe intese", il governo "Alfetta" continua nella sua nefasta azione.
La legge di stabilità, le privatizzazioni, le sovvenzioni a grandi imprese, alle banche, il continuo taglio alle spese sociali, l’aumento delle tasse per i lavoratori e il blocco contrattuale comportano costi sociali tremendi.
Attraverso queste misure prosegue, quindi, la politica di austerità e di guerra, di saccheggio sociale imposta dall’oligarchia finanziaria e dalla troika UE-BCE-FMI.
Insieme alle misure antipopolari va avanti il piano di trasformazioni reazionarie a livello politico e istituzionale.
L’obiettivo che si prefigura è la modifica dell’art. 138 della Costituzione; in questo modo si punta alla creazione di una Repubblica presidenziale di tipo autoritario, antidemocratica, che estenderà la reazione politica a macchia d’olio.
I fatti dimostrano che nel contesto dell’aggravamento della crisi generale del capitalismo la borghesia, per salvaguardare i suoi interessi e il suo dominio di classe, getta nel fango le libertà conquistate dai nostri padri, diventa sempre più aggressiva e non esita a disfarsi dello stesso ordinamento costituzionale divenuto incompatibile con le fameliche esigenze del capitale finanziario.
In questo scenario, numerose sono le forze servili al capitalismo che svolgono un ruolo di freno, affossando le istanze di cambiamento che provengono da interi settori popolari, criminalizzando la protesta sociale.
Basta pensare alla
proposta sul mondo del lavoro presentata dalla nuova segreteria renziana, il Job Act: cancellazione
dell'articolo 18 ai neo assunti per i primi tre anni, durante i quali gli
imprenditori sarebbero privati dal pagamento dei contributi che andrebbe a
carico dello stato; superamento dei numerosi contratti di lavoro per arrivare
alla realizzazione di un contratto unico; così come sarebbe unico il sussidio di
disoccupazione che andrebbe a sostituirsi all'attuale cassa
integrazione, vincolato a un corso obbligatorio di formazione.
Sarà il nuovo che
avanza o il fascino di nuove proposte ma quello che salta agli occhi sono solo
vecchie proposte condite in una salsa nuova, tra cui il classico tentativo di
eliminare l'articolo 18 o, per lo meno, mettere a segno un ulteriore passo in
avanti verso la sua cancellazione.Questo è lo scenario che si intravede per il futuro del mondo del
lavoro; una prospettiva che,
ancora una volta, va a sposarsi con gli interessi dei
padroni.
Il loro compito,
quindi, è quello di isolare i settori più combattivi dei lavoratori sostenendo,
recentemente, anche l'inutilità dello sciopero generale, nonostante negli ultimi
mesi numerosi sono stati gli strati della classe produttiva che hanno ripreso il
cammino di lotta contro le conseguenze della crisi economica, l’offensiva
capitalista, le manovre reazionarie.
Si è aperta, infatti, una nuova fase di mobilitazione ascendente, in cui si moltiplicano le proteste e le mobilitazioni di massa su diversi terreni: lavoro, salario, casa, ambiente, lotta alle privatizzazioni, tasse.
Dagli operai ai tranvieri, dagli studenti alle donne, dai senza casa ai migrati, da Genova a Napoli, dalla Val Susa alla Sicilia la resistenza e le mobilitazioni si sviluppano riempiendo le strade. La classe lavoratrice, specie quella delle fabbriche investite dalle dismissioni e dalle ristrutturazioni, esige soluzioni dignitose per il lavoro, il salario e le pensioni a spese dei capitalisti e dei ricchi.
Altri settori sociali, vittime della crisi, impoveriti e declassati, si sono messi in movimento; all’interno di queste mobilitazioni osserviamo un più netto rifiuto delle logiche istituzionali e parlamentari, una maggiore radicalizzazione delle forme di lotta.
L'anno nuovo che verrà dovrà dare, quindi, maggiore impulso ad una partecipazione attiva dal basso; dovrà rafforzare il protagonismo sociale, la mobilitazione e l’autorganizzazione dei lavoratori indispensabili per rilanciare una combattiva opposizione di classe.
E’ necessaria una radicale svolta di classe, nelle forme di lotta e di organizzazione, nel programma e nelle parole d’ordine perché senza questo il malcontento rischia di essere intercettato dalle forze reazionarie che agiscono come strumenti del grande capitale per recuperare la collera montante contro l’UE e i governi dell’austerità, dividendo la classe lavoratrice e le masse popolari.
Non c’è altro tempo da perdere con la passività e l'attendismo.
I lavoratori non possono e non devono rassegnarsi; è ora di rompere gli indugi.
Si è aperta, infatti, una nuova fase di mobilitazione ascendente, in cui si moltiplicano le proteste e le mobilitazioni di massa su diversi terreni: lavoro, salario, casa, ambiente, lotta alle privatizzazioni, tasse.
Dagli operai ai tranvieri, dagli studenti alle donne, dai senza casa ai migrati, da Genova a Napoli, dalla Val Susa alla Sicilia la resistenza e le mobilitazioni si sviluppano riempiendo le strade. La classe lavoratrice, specie quella delle fabbriche investite dalle dismissioni e dalle ristrutturazioni, esige soluzioni dignitose per il lavoro, il salario e le pensioni a spese dei capitalisti e dei ricchi.
Altri settori sociali, vittime della crisi, impoveriti e declassati, si sono messi in movimento; all’interno di queste mobilitazioni osserviamo un più netto rifiuto delle logiche istituzionali e parlamentari, una maggiore radicalizzazione delle forme di lotta.
L'anno nuovo che verrà dovrà dare, quindi, maggiore impulso ad una partecipazione attiva dal basso; dovrà rafforzare il protagonismo sociale, la mobilitazione e l’autorganizzazione dei lavoratori indispensabili per rilanciare una combattiva opposizione di classe.
E’ necessaria una radicale svolta di classe, nelle forme di lotta e di organizzazione, nel programma e nelle parole d’ordine perché senza questo il malcontento rischia di essere intercettato dalle forze reazionarie che agiscono come strumenti del grande capitale per recuperare la collera montante contro l’UE e i governi dell’austerità, dividendo la classe lavoratrice e le masse popolari.
Non c’è altro tempo da perdere con la passività e l'attendismo.
I lavoratori non possono e non devono rassegnarsi; è ora di rompere gli indugi.
Buon 2014 di lotta a
tutte/i.