Ministero dell'Economia e delle Finanze

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mercoledì 21 maggio 2014

TTIP - un attacco frontale senza precedenti.

Mentre siamo asfissiati dalle roboanti promesse della campagna elettorale, l’Europa sta per firmare un trattato che segnerà una svolta epocale nella storia della democrazia, sostituendo definitivamente il diritto privato, in particolare quello delle multinazionali, al diritto pubblico.
Nei primi mesi del 2013 è stato siglato l’impegno tra gli Stati Uniti d’America e l’Unione Europea ad avviare, e concludere, i negoziati per il Transatlantic Trade and Investment Partnership/TTIP (Trattato Transatlantico sul commercio e sugli investimenti), definito altrimenti Accordo di libero scambio transatlantico (TAFTA).
Si tratta di un accordo ovviamente composto da molti articolati, ma che nella sua essenza è volto ad eliminare quelle che vengono definite "barriere non tariffarie" agli scambi tra Usa e Ue.
Ovvero, rimuovere quelle differenze normative che oggi rendono difficili gli scambi economici di ogni genere, per lasciare ampio margine agli investimenti e facilitare i reciproci interessi, tra cui anche la partecipazione di imprese multinazionali agli appalti pubblici.
Si tratta, in poche parole, di creare un enorme "free zone" di libero commercio di merci e servizi, in cui non varrebbero più i limiti imposti dalle normative vigenti, in molti casi frutto di conquiste ottenute dalle battaglie in difesa di standard sociali, lavorativi ed ambientali.
Difficile, ovviamente, non vedere come dietro questa ipotesi d’accordo non vi sia unicamente la vocazione neoliberista a sciogliere da "lacci e laccioli" l’iniziativa capitalistica ma, anche, il tentativo geopolitico di strutturare un più solido legame strategico tra Stati Uniti e Unione Europea per far fronte alla concorrenza globale delle cosiddette "economie emergenti".
Un tentativo, quindi, di costituire la zona più grande di libero scambio sull’intero pianeta, comprendendo economie che coprono il 60% del Pil mondiale; rappresenta il nuovo e ancor più massiccio attacco ai diritti sociali e del lavoro, ai beni comuni e alla democrazia, dopo i tentativi già portati avanti con l’accordo multilaterale sugli investimenti (Mai) negli anni ’90 e con la direttiva Bolkestein nello scorso decennio, contro i quali si era costruita una fortissima ed efficace mobilitazione sociale.
E il nucleo dell’accordo sta, infatti, nel rendere "compatibili" le differenti normative tra Usa e Ue che regolano i diversi settori dell’economia, naturalmente all’unico scopo di rendere più libere le attività delle imprese, permettendo loro di poter muovere senza alcun vincolo capitali, merci e lavoro in giro per il globo.
Sarà così possibile, per le aziende statunitensi, chiedere il drastico abbassamento degli standard europei in materia di diritti del lavoro o mettere in sordina il "principio di precauzione", cardine dell’Ue in materia ambientale.
Contemporaneamente, le aziende europee puntano ad una modifica delle severe normative Usa sui medicinali, dispositivi medici e test, unitamente ad un allentamento del più stretto regime di regolamentazione finanziaria.
Usa e Ue vogliono, in sostanza, spacciare per "uscita dalla crisi" il nuovo tentativo di realizzare l’utopia delle multinazionali, ovvero un mondo in cui diritti, beni comuni e democrazia siano considerate null’altro che variabili dipendenti dai profitti.
Con un’ulteriore minaccia per la sovranità dei popoli: l’accordo, infatti, prevede la possibilità per le multinazionali di denunciare a loro nome presso una corte speciale, composta da tre avvocati d’affari rispondenti alle normative della Banca Mondiale, un paese firmatario, la cui politica avrebbe un effetto restrittivo sulla loro vitalità commerciale; potendolo sanzionare con pesantissime multe per avere, con la propria legislazione, ridotto i possibili futuri profitti della multinazionale denunciante.
Per fare un esempio concreto, se il governo italiano dovesse approvare la legge d’iniziativa popolare del Forum italiano dei movimenti per l’acqua, riconoscendo finalmente l’esito del voto referendario del 2011, ad accordo vigente potrebbe trovarsi sanzionato per aver impedito, con la ripubblicizzazione del servizio idrico, futuri profitti alle multinazionali del settore.
Il tutto, come spesso avviene per questo tipo di trattative, sta passando assolutamente in silenzio, complice la situazione sociale determinata dalla crisi sistemica del capitalismo e della retorica della "competitività" economica come chiave per il superamento delle stesse politiche di austerity.
Il TTIP, Transatlantic Trade and Investment Partnership, oggetto di negoziati volutamente segreti è, quindi, qualcosa di più di una semplice trattativa di liberalizzazione commerciale.
E’ un attacco frontale che vede lobby economiche, Governi e poteri forti accanirsi su quello che rimane dei diritti del lavoro, della persona, dell’ambiente e di cittadinanza dopo anni di crisi economica e finanziaria da loro prodotta, in un più ampio tentativo di disarticolare le conquiste di anni di lotte sociali con le politiche di austerity e di redistribuzione del reddito verso l’alto.
Si tratta di un attacco senza precedenti ai diritti, ai beni comuni e alla democrazia, al solo scopo di realizzare l’utopia delle multinazionali: la piena, totale e incontrovertibile libertà d’azione e di profitto, rispetto a cui i diritti dei cittadini, dei lavoratori, la tutela della salute e dell’ambiente diverrebbero variabili dipendenti.
Conoscere, discutere e mobilitarsi su quel che sta accadendo è un’occasione per denunciare i lati oscuri dell’accordo ma, anche, per continuare ad affermare la necessità di percorsi condivisi che guardano all’uscita dalla crisi non attraverso la riproposizione delle logiche neoliberiste della speculazione e della devastazione sociale ed ambientale.
Siamo di fronte ad una vera e propria guerra alla società, giocata con l’alibi della crisi e con il tentativo di rendere strutturali le politiche di austerità, riducendo il lavoro, i beni comuni, la natura e l’intera vita delle persone a fattori per la valorizzazione dei grandi capitali finanziari.
Così come facemmo contro il Mai e contro la Bolkestein, occorre attivare al più presto una forte mobilitazione politica e sociale, per dire tutte e tutti che è un’altra la via di uscita dalla crisi; passa esattamente per l’abbandono di un modello che è contro la vita e il futuro.
Anche in Italia si comincia a parlarne, con alcuni contributi che rompono il silenzio intorno alla vicenda tra i quali, quello che noi modestamente proponiamo con questa semplice info a tutti i lavoratori del nostro ministero.

Agli occhi di TTPI, non esistono cittadini, ci sono solo consumatori ed essi appartengono alle società private che controllano i mercati.

giovedì 15 maggio 2014

SOMA: il maledetto sfruttamento capitalistico.


L'ennesima strage di operai nella miniera in Turchia, mostra ancora una volta il vero volto del capitalismo e come questo infame sistema sopravviva sul crescente sfruttamento dei lavoratori, il che spesso comporta la "distruzione" delle loro vite.
Non vuole e non può sopportare regole che lo disciplinino.
Lo dimostra il trasferimento della maggior parte della produzione industriale in paesi dove queste regole sono minori e meno rispettate perfino di quanto lo siano in Europa.
Il capitalismo è un mostro che o cresce o muore.
Ma il capitale, ingigantendosi e invecchiando, si isterilisce: il calo del saggio del profitto è una legge inesorabile del capitalismo, quanto lo è la gravità nel mondo fisico.
Il capitalismo corre irrimediabilmente verso la sua crisi storica di sovrapproduzione, quale è quella attuale e il solo modo che ha la borghesia per frenare questo processo è succhiare più plusvalore dal lavoro degli operai.
Costi quel che costi.
Dietro questo massacro ci sono, quindi, le politiche neoliberiste attuate dal governo, le privatizzazioni, i subappalti, la riduzione del numero dei lavoratori occupati e l’intensificazione del loro sfruttamento, l’aumento dell’orario di lavoro.
Una ricetta unica, portata avanti in Europa sotto l’impulso e con la supervisione della Troika (UE, BCE, FMI), attraverso strumenti implacabili come il Fiscal compact e il Trattato di libero scambio tra l'UE e gli Stati Uniti (TTIP), che servono gli interessi del capitale finanziario e liquidano un secolo di conquiste operaie, diritti e libertà democratiche.
Sfruttamento, morti sul lavoro, guerre: finché il capitalismo non apparterrà al passato la classe lavoratrice non potrà emanciparsi da questi suoi nefasti effetti.
Ma può combatterli, può resistervi lottando duramente.
Non basta affidarsi a leggi e norme dello Stato che, da sole, tutelino i lavoratori e per sempre: queste possono essere solo il risultato della forza messa in campo dalla classe operaia nella lotta in difesa dei suoi interessi.
Venendo a mancare questa forza la borghesia non perde tempo a sbarazzarsi, o non applicare, i pretesi diritti acquisiti.
Questo è esattamente ciò che è avvenuto negli ultimi tre decenni.
La lotta per la sicurezza sui posti di lavoro significa, per noi, ricostruzione della forza della classe lavoratrice.
Il nostro dolore per questa ennesima mattanza non ci farà, però, demordere dal continuare il nostro impegno quotidiano per un mondo dove la terra sia coltivata, non consumata, dove i beni comuni siano protetti, non svenduti, dove il lavoro e la casa siano un diritto, non un lusso.

Chi insegna che nulla può cambiare, in realtà vuole solo un altro schiavo.