Ministero dell'Economia e delle Finanze

Ministero dell'Economia e delle Finanze

lunedì 10 dicembre 2012

CARTOLARIZZAZIONE: Mister 35mila euro.


Il Sottosegretario di Stato al MEF, il Prof. Gianfranco Polillo, ha invitato le organizzazioni sindacali a partecipare all'incontro fissato per oggi, alle ore 11.00, sull'attuazione di quanto previsto dall'art. 3 comma 165 della legge 350/03, la cosiddetta Cartolarizzazione.
Pur non essendoci, ci immaginiamo che il Professore spieghi ai presenti sindacalisti, che nei giorni scorsi si sono accapigliati per rivendicare il merito della convocazione, il motivo di una così iniqua ed evidente sperequazione in relazione alla ripartizione delle somme tra le varie anime del dicastero, peraltro già messa in atto lo scorso anno.
Su questo punto, però, crediamo che il Sottosegretario abbia poche cose da dire; così come la "favola" di possibili integrazioni delle risorse disponibili, penosa strategia di marketing utilizzata ad arte da qualcuno e sventolata come viatico nei confronti di una ingiustificata difformità nell'assegnazione delle somme tra l'amministrazione finanziaria e quella economica, lascia il tempo che trova.
Alla fine della fiera, come al solito, sigleranno tutti l'accordo come hanno fatto l'anno scorso, sbeffeggiando le firme dei tanti lavoratori che, ancora una volta, sono caduti nell'inganno.
Ma in realtà, la nostra forte perplessità è che sia proprio lui, il Sottosegretario di Stato al MEF, il Prof. Gianfranco Polillo, la persona più idonea per argomentare e rendere comprensibili ai lavoratori concetti quali equità, obiettività, correttezza, equanimità ed equilibrio; perché, in caso contrario, sarebbe auspicabile che spieghi come si possa conciliare, in una fase così terribile per tante famiglie, dove un giovane su tre è disoccupato, dove molti perdono il lavoro, lo stipendio e vedono allungare l'età pensionabile e falcidiare la propria pensione, che un rappresentante politico di questo governo, ormai giunto al capolinea, possa percepire un vitalizio d'oro di "solo" 20mila euro lordi al mese.
A questa povera pensione sociale, si deve aggiungere anche il misero "stipendio" di 15mila euro lordi al mese come Sottosegretario di Stato.
Chissà, forse i rappresentanti delle organizzazioni sindacali seduti con lui al tavolo, sdegnati si "faranno sentire" e pretenderanno, anziché lasciarsi andare ai soliti salamelecchi, reverenze e convenevoli verso il politico di turno, tipici degli incontri di questo genere, chiarimenti e argomentazioni valide.
Mah!!
Sarà così?
Non ne siamo troppo convinti.
Si accontenteranno di farsi ripetere quello che il Sottosegretario, per giustificare la ragguardevole pensione che intasca ogni mese, ha sostenuto in uno dei tanti salotti televisivi di cui è un habitué accanito: "prendo circa 20mila euro lordi di pensione al mese, ma il massimo di ferie che ho fatto nella mia vita è di venticinque giorni consecutivi. Ora andate a leggervi il contratto dei metalmeccanici. Leggetevelo.
Leggete quante sono per contratto le vacanze attribuite alla categoria dei metalmeccanici. Un operaio con dieci anni di anzianità ha cinque settimane di ferie all’anno, quindici giorni di permessi retribuiti e totalizza due mesi di vacanze all’anno".
Un ragionamento perfettamente coerente con quanto dichiarò lo scorso giugno quando disse "rinunciando ad una settimana di ferie il Pil aumenterebbe di un punto di percentuale" o con la sua ultima boutade di martedì scorso quando, parlando della Germania, ha dichiarato: "a loro va meglio perché là, la gente lavora".
 
Chissà che cosa avrebbe detto Isabella, sentendo questa dichiarazione di Mister 35mila euro al mese.
Sì, Isabella Viola, mamma di 4 bambini, stroncata a soli 34 anni da un malore su una banchina della metropolitana di Roma, lo scorso 18 novembre.
Isabella si svegliava ogni mattina alle 4, quando è ancora buio, per andare al lavoro a Roma; saliva sul bus che da Torvaianica percorre la Pontina fino a raggiungere la stazione della metro A di Laurentina.
Poi, cambiava a Termini e saliva sulla metro B, fino a Furio Camillo, al Tuscolano dove lavorava in un Bar.
Così, a tarda sera, ritornava a casa quando era di nuovo buio facendo lo stesso percorso al contrario, le stesse metropolitane, lo stesso bus.
Ogni santissimo giorno, anche di domenica.
Isabella si era ammalata e da tempo non si sentiva bene, ma non poteva smettere di alzarsi alle 4 di mattina perché il marito aveva perso il lavoro e ci sono le bollette da pagare, il mutuo e i suoi 4 bimbi da crescere di 4, 6, 9 e 11 anni.
Non aveva nessun contratto, alcun diritto, non poteva restare a casa in malattia perché se non andava al lavoro non veniva pagata.
Isabella non si poteva fermare, non poteva perdere quei 55 euro al giorno ed è per questo che si è consumata fino a morire su una banchina della metrò.
Si è fermata lì.
 
Non c'è che dire, Mister 35.000 euro al mese è proprio l'interlocutore più appropriato per fornire garanzie ai lavoratori del MEF, ormai avvolti in un progressivo e inarrestabile processo di impoverimento generale e di lotta quotidiana per la sopravvivenza.
 
Tutti a tavola, quindi, e buona riunione!

lunedì 3 dicembre 2012

Un euro e sedici centesimi.


Il 26 novembre 2012 è stato pubblicato sul sito della Fondazione CRUI il bando di selezione per 34 posti di tirocinio presso gli uffici delle strutture del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Il bando, come già avvenuto negli anni passati, è il frutto di una convenzione, rinnovata nel dicembre 2009, tra il nostro Ministero e le Università italiane rappresentate dalla Conferenza dei rettori e offre “l’opportunità” ai laureandi e ai neo-laureati di svolgere stage presso i Dipartimenti del Tesoro, delle Finanze, del Dag e ora anche della RGS.
La scadenza dei termini per la presentazione delle candidature da parte di studenti neolaureati o laureandi in possesso delle abilità richieste, è fissata alle ore 13 del 7 dicembre 2012.
La durata dei tirocini è di 4 mesi (periodo 28 gennaio 2013 – 28 maggio 2013) con possibilità di proroga fino a 6 mesi.
Letto così, con l'aria che tira in giro, uno stage al Ministero dell'Economia e delle Finanze è considerato, di questi tempi, un’ottima occasione.
L’esperienza proposta, per i tanti giovani laureati o laureandi, che potrebbero essere i nostri figli, è molto ambiziosa poiché, in considerazione dei requisiti richiesti per concorrere, il percorso è ben definito e strutturato adeguatamente.
Insomma, non la solita routine quotidiana dell’impiegato statale ma un serio arricchimento nell’elaborazione di studi e ricerche utili per gli uffici ospitanti.
Appunto, l’unico arricchimento è per il nostro dicastero poiché se si affronta il capitolo del “rimborso spese” (il nostro Ministero lo chiama borsa di studio….) ci accorgiamo che “l'importo lordo è fissato sulla base delle presenze in ufficio, debitamente documentate, determinato in euro 7,00 (sette) giornalieri”.
Un euro e sedici centesimi l'ora.
Anzi, c’è pure l’avvertenza che le “predette somme sono oneri passivi di natura eventuale e saranno erogate ai tirocinanti compatibilmente con le disponibilità nei relativi capitoli di bilancio e saranno subordinate alle attività istituzionali di formazione ritenute prevalenti rispetto all’erogazione di tali rimborsi spese”.
Insomma, l’euro e sedici centesimi l’ora non è detto che te lo diano.

Ci viene da sorridere solo a pensare che la “Riforma del Lavoro”, da poco approvata, sostiene che per esperienze di questo tipo dovrebbe essere riconosciuta una “congrua indennità, anche in forma forfettaria, in relazione alla prestazione svolta”.
La solita dizione di facciata, persino strenuamente avversata dai padroni.
Un concetto che l'esponente del governo dalla lacrima facile farebbe comunque bene a chiarire anche al suo management, giacché una società interamente controllata dal suo dicastero ha lanciato un progetto da 4,5 milioni di euro per avviare 3mila giovani alle professioni di “bottega”, scegliendo come modalità nemmeno quella dell'apprendistato, ma proprio lo stage, meno tutelante per chi lo svolge e meno costoso per le amministrazioni/aziende.
Al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, dunque, si predica bene ma si razzola male.
Ma sull’elemosina elargita, è intervenuto persino il Parlamento Europeo con una mozione approvata prima dell'estate che sostiene che agli stagisti va riconosciuta una “retribuzione decorosa”.
Ma si sa, dall’Europa si recepiscono solo i tagli al welfare e le macellerie sociali.
Intanto, i “percorsi di arricchimento personale” e di “progetto formativo” proseguono e i tanti giovani continuano a supplire all’enorme carenza di personale nella Pubblica Amministrazione derivante dalle infami politiche perseguite in tema di blocco del turn over.
Così, come nel privato, anche nel pubblico si persevera a usufruire di braccia e teste fresche e volenterose a basso costo, spesso completamente gratis e senza alcun diritto.
Insomma, sfruttamento e manodopera a costo zero.
Ne sa qualcosa anche il nostro Ministero.

Sanità: l'affondo finale.


Via gli ospedali: costano troppo.
E i malati? Pazienza, si arrangino.
Chi se lo può permettere, si rivolgerà a cliniche private.
Neppure i peggiori del passato erano mai arrivati a tanto; infatti, minacciare di chiudere il servizio sanitario nazionale, per presunta mancanza di fondi, è l’ennesimo record del salvatore della patria spedito a Palazzo Chigi direttamente dalla Goldman Sachs, dal club Bilderberg e dalla Trilaterale.
Presto, ha dichiarato il Presidente del Consiglio, non sarà più possibile garantire la sostenibilità finanziaria del sistema sanitario nazionale.
Certo, nei giorni seguenti, il professore della Bocconi ha corretto il tiro dichiarando che è necessario trovare altre modalità per sostenere i costi della sanità pubblica e che nessuno ha l'intenzione di privatizzare.
Dopo l’attacco frontale al lavoro e alle pensioni, insieme alle tante "patrimoniali sui poveri" varate a suon di tasse, ecco l’affondo finale contro il cuore del welfare italiano: il sistema sanitario nazionale, considerato il primo in Europa per qualità e capillarità territoriale, al pari di quello francese.
Nonostante gli infinti scandali e le croniche magagne, gli ospedali continuano a far gola a chi li vorrebbe privatizzare, tagliando servizi per moltiplicare profitti.
Il gioco va avanti da decenni, con politici infedeli che dirottano fondi per degradare il servizio, esternalizzarne interi settori e spingere i cittadini esasperati verso strutture private che, per la diagnostica, garantiscono tempi celeri.
Ma solo l'attuale capo del governo è arrivato, anche in questo campo, a intimidire direttamente la comunità nazionale italiana: il diritto alla salute, sancito dalla Costituzione, non sarà più garantito.
Grazie, naturalmente, al solito alibi contabile: "non ci sono più soldi" è la versione sanitaria del "lo vuole l’Europa" che, poi, è esattamente la stessa cosa.
Lo vuole l’Europa?
Certo, perché l’Europa di Maastricht, quella modellata dalle lobby finanziarie mondiali, ha creato una sorta di "mostro" antidemocratico che, semplicemente, con un atto di imperio, taglia i viveri agli Stati con una irresponsabilità criminale e una totale indifferenza nei confronti di sofferenze sociali che, solo qualche anno fa, nessuno avrebbe mai immaginato potessero tornare a tormentare i cittadini del vecchio continente.
I poveri ridotti in miseria, gli operai mortificati ogni giorno, i giovani privati di qualsiasi speranza di futuro.
E il ceto medio produttivo e risparmiatore, il popolo dei "consumatori", ormai in preda al panico a causa di un impoverimento rapido, progressivo e inesorabile, senza un barlume di luce in fondo al tunnel.
Famiglie sul lastrico, aziende che chiudono, piccoli imprenditori disperati, dipendenti lasciati a casa.
E’ la spirale della recessione: meno consumi, più crisi e, quindi, ancora meno consumi e ancora più crisi.
Non ci sono soldi?
Peccato, però, che la politica economica fin qui perseguita ne elargisce a piene mani alle banche, basti pensare alla nuova richiesta del Mps di 3,9 miliardi di Monti/bond (dopo averne già ricevuto 2 miliardi lo scorso giugno e 1,9 miliardi di Tremonti/bond nel 2009) o alla produzione bellica con l'acquisto dei cacciabombardieri F35.
Inserito nella Carta Costituzionale l’orrore del "pareggio di bilancio" previsto dal Fiscal Compact, ormai lo Stato è stato declassato al rango di azienda, proprio come viene sostenuto dalla scuola economica da cui proviene il Presidente del Consiglio.
L’Eurozona è divenuta una sorta di prigione, affollata di ex cittadini trasformati in sudditi e sottoposti al ricatto della paura.
E il peggio è che la politica, la stessa politica che ha permesso tutto questo a suon di trattati varati in modo semi-clandestino, sostanzialmente all’insaputa dei cittadini e senza mai uno straccio di validazione democratica, continua a tacere, intrattenendo il pubblico con le facezie delle primarie.
Insomma, siamo ormai di fronte ad una drammatica perdita di sovranità democratica.
Fino alle estreme conseguenze: la minaccia della chiusura del sistema sanitario nazionale.

mercoledì 28 novembre 2012

CED Latina.


Gentili colleghi,
alcuni di voi ci hanno inviato il comunicato a firma dei Lavoratori Autorganizzati del CED di Latina, e che vi riportiamo integralmente, con la richiesta di ottenere informazioni in merito unitamente a conoscerne la fonte.
Su questo specifico punto, chiariamo immediatamente che non conosciamo l'estensore o gli estensori ma, tuttavia, non crediamo che questo sia l'aspetto sul quale porre l'attenzione.
Infatti, per quanto concerne il contenuto del documento, per quanto ci riguarda, questo è condivisibile su molti dei punti evidenziati così come l'analisi, nel suo complesso, merita sicuramente apprezzamento.
Detto questo, però, pur essendo sempre più convinti che l'autorganizzazione dei lavoratori sia l'unica strada possibile da percorrere considerato il desolante panorama, sia culturale che sindacale, che ogni giorno ammiriamo dal nostro posto di lavoro, questa ha un senso se si costruiscono le sue fondamenta con la partecipazione collettiva e la condivisione delle iniziative.
La direzione in cui procede il nostro lavoro, infatti, è quella della costruzione di una vera e propria rete condivisa, democratica, partecipata dei lavoratori del MEF, che ha una propria linea ma non è "di linea", nel senso che non è megafono di nessuno.
Ed è in questa direzione che abbiamo chiesto e chiediamo ancora oggi ai colleghi del MEF di aprire un confronto ampio per la costruzione di una rete di lotta, dal basso, allargata con quanti si riconoscono in questa breve presentazione del progetto.
La proposta, in concreto, è quella di costruire collettivi di lotta in ogni singolo posto di lavoro, senza contaminarsi da realtà pseudo sindacali, che si assumano il compito di documentare i processi di resistenza, così come di collegare in una rete comune gli strumenti di comunicazione libera.
La prospettiva è quella di arricchire ulteriormente la capacità informativa dei lavoratori del MEF, estendere il più possibile la raccolta d’informazioni, migliorare la strutturazione della comunicazione, strutturare al meglio la collaborazione con chi vive quotidianamente l'alienazione dello sfruttamento.
Ben vengano, quindi, forme di autorganizzazione dei lavoratori in ogni posto di lavoro ma solo a condizione che ne si condividano esperienze, bisogni e necessità.
Insomma, autorganizzare, insieme, le lotte.
 
Cordiali saluti.
Lavoratori Autorganizzati MEF
 

CALL CENTER DI LATINA: PIATTAFORMA RIVENDICATIVA CED LATINA
In data 10/11/12 si è tenuta un’assemblea esterna al posto di lavoro dei Lavoratori Autorganizzati del CED di Latina. L’assemblea ha preso atto  del notevole disagio che in  più occasioni i lavoratori del Call Center del Tesoro di Latina, hanno espresso per l’aumento del carico di lavoro e per i disservizi sorti alla nascita del nuovo portale PA.
L’assemblea ritiene di dover rimarcare, con atti formali e sostanziali, da mettere in campo nei confronti dell’Amministrazione Centrale e Periferica, il malessere che grava sugli operatori del Call Center.
L’assemblea ha preso inoltre atto delle proteste provenienti dai colleghi, (vedi lettera di trasferimento ad altri incarichi), già notificate all’amministrazione , esprimendo nel contempo piena solidarietà al movimento di lotta costituitosi.

L’assemblea dei Lavoratori Autorganizzati del CED di Latina  ha tuttavia evidenziato la necessità di addivenire al più presto alla definizione di una piattaforma rivendicativa di posto di lavoro, capace di omogeneizzare le rivendicazioni e di individuare obiettivi reali legati alla crescita professionale ed al conseguente riconoscimento economico delle funzioni svolte.
A tale proposito l’assemblea ha avanzato le seguenti proposte:
a)  per le attività svolte in materia di assistenza 730 si richiede il  riconoscimento giuridico della figura di CONSULENTE TRIBUTARIO ADDETTO AL SERVIZIO TELEFONICO. Considerata la pregnanza dei compiti affidati agli operatori stessi, non ultima la rilevanza esterna delle consulenze date, si richiede l’inquadramento nell’area C;
b)   riconoscimento della qualificata esperienza nello svolgimento dell’attività di consulente. Per ogni anno di servizio prestato nel Call Center si richiede l’acquisizione, automatica e non discrezionale, di un credito formativo spendibile ai fini della progressione di carriera;
c)   in considerazione dell’attività fortemente logorante svolta dagli operatori, ai carichi di lavoro fortemente stressanti, si richiede l’equiparazione del lavoro di consulente ,all’ attività logoranti con conseguente godimento delle prerogative riservate ai lavori usuranti;
d)   ­le responsabilità cui vengono chiamati gli operatori non sono supportate da un’adeguata formazione. Quest’ultima, attualmente, viene sostanzialmente sopperita dall’autoformazione degli addetti stessi. Si richiedono corsi, a cadenza almeno trimestrale, gestiti da docenti qualificati, provenienti dalla Scuola Superiore di Economia e finanza. Va garantito il materiale per l’aggiornamento (libri e riviste specializzate) il cui onere grava, attualmente, solo sui lavoratori;
e)   i carichi di lavoro, unitamente al livello di responsabilità ed alle carenze di personale, rendono oltremodo penosa l’attività di consulente.  La consulenza telefonica viene a tutt’oggi svolta fino al limite massimo di sette ore e mezzo (7.30) ore, 5 ore la mattina, mezzora di pausa pranzo (solo di recente introdotta ) e 2.30 ore il pomeriggio. L’orario di servizio del Call Center fino al limite massimo di sette ore e mezzo (7.30) è assicurato, mattina e pomeriggio non attraverso turni di lavoro,( cosa ottimale e caratteristica di tutte le organizzazioni di strutture che offrono servizi  di Call  Center ) ma il presidio delle postazioni telefoniche del Numero Verde è garantito, con risorse minimali di lavoratori in attività di rientro finalizzata alla settimana corta, recupero permessi e straordinario. L’organico attuale è sottodimensionato rispetto al numero reale di postazioni telefoniche, 29 operatori per un totale di 37 postazioni. Si ritiene urgente determinare un nuovo contingente di personale che incrementi gli attuali addetti del Front-End e la rivisitazione dell’ organizzazione dell’orario di lavoro, con l’introduzione delle turnazioni, che limiterebbe il tipo d’attività altamente logorante del Servizo di addetto al Call Center. La mancata accettazione di dette proposte vedrà, necessariamente, comportare vertenze locali a difesa della salute dei lavoratori;
f)  l’inefficienza e l’inefficacia dell’attuale attività del servizio del Call Center, per inadempienze da parte dell’amministrazione nel prendere decisioni e provvedimenti atti alla soluzione delle problematiche che da tempo affliggono tale struttura, non hanno fatto nient’altro che rendere l’attività di “back office” preponderate, scaricando su tale struttura un aumento notevole di Incident da trattare e riducendo  notevolmente il   tempo necessario alla formazione ed all’autoformazione. Tale situazione sicuramente nuoce all’efficienza del servizio ed aggrava irrimediabilmente la condizione lavorativa degli addetti all’attività.
g)   il numero di risposte telefoniche che il call Center deve assicurare quotidianamente non è stato ancora definito, tuttavia, agli operatori viene ambiguamente richiesto di garantire una risposta all’80%  delle domande telefoniche pervenute. La mancanza di un numero massimo di chiamate di riferimento, rende sconcertante la pretesa dell’Amministrazione. Urge aprire una concreta e responsabile discussione sull’effettivo carico di chiamate sopportabile dai lavoratori che salvaguardi la qualità del servizio, la professionalità e le condizioni psico-fisiche degli addetti;
h)   la scarsa incentivazione economica, nei confronti dei lavoratori del Servizio d’Assistenza nella sua interezza ( Front e Back-office ) attualmente erogata, avrebbe l’ambizione di risarcire gli operatori della particolare penosita’ dell’attività che sono chiamati a svolgere.  L’incentivazione sicuramente non assolve a detto compito e si dimostra economicamente irrisoria se si  considerano  gli aggravi che bisogna sopportare  per ottenerla. In verità gli operatori sottoposti  a carichi di lavoro diversi dagli altri uffici, costretti a continuo e faticoso aggiornamento, sottoposti a nocive emissioni elettromagnetiche, a pressione psicologica derivante dal colloquio con il contribuente, sono sicuramente non remunerati adeguatamente. Si richiede che gli attuali e pochi incentivi si trasformino in riconoscimento professionale legato alla specificità dell’attività svolta. Va pertanto rigettata l’attuale impostazione che vede l’incentivazione finanziata dal fondo d’amministrazione con conseguente danno per gli altri colleghi costretti a tirare dalla propria parte la coperta corta. Si chiede pertanto che l’incentivo si trasformi in indennità professionale e stabile voce dello stipendio.
i)    visite periodiche di accertamento delle condizioni psico-fisiche. Nonostante l’esposizione dei lavoratori ad attività nociva e logorante, l’amministrazione non si preoccupa di garantire costanti e non superficiali, indagini sanitarie.

Alla luce di quanto esposto l’assemblea dei Lavoratori Autorganizzati del CED di Latina, invita tutti i colleghi del Call Center ad intervenire con proposte o emendamenti alla presente piattaforma. Invita inoltre la RSU di posto di lavoro e i sindacati tutti a farsi promotrice delle rivendicazioni sopra elencate e di quelle che perverranno in conseguenza del dibattito.
L’assemblea degli Autorganizzati infine ritiene ed invita l’RSU ad indire assemblea di tutto il personale del CED di Latina ritenendo che le attuali situazioni di lavoro e di salute, non riguardino solo gli addetti al Call Center.

La produttività dei padroni.


Nell'ultima settimana il paese è stato attraversato da un’ondata di proteste.
Decine di migliaia di studenti, principalmente delle scuole medie superiori, sono scesi in piazza per contestare le politiche del governo e della Banca Centrale Europea.
La radicalità espressa dalle mobilitazioni e la prevedibile brutalità con cui la polizia ha tentato di reprimerle, sono state le notizie che hanno monopolizzato il dibattito pubblico sui media.
Quasi per paradosso, il destino ha voluto che proprio nelle stesse ore, nel silenzio generale, si stesse portando a compimento uno dei principali obiettivi del governo e del padronato nostrano: l’accordo sulla produttività.
Ancora oggi, con la pagliacciata delle primarie, la coltre del silenzio continua ad avvolgere questo gravissimo fatto.
L’accordo sulla produttività non è nient’altro che la naturale evoluzione dello scellerato accordo interconfederale del 28 giugno 2011 con cui le parti sociali (Cgil compresa), s’impegnavano a dare centralità alla cosiddetta contrattazione di secondo livello.
Con la nuova intesa, quindi, si stabiliscono le basi per procedere ai numerosi rinnovi contrattuali che ci saranno nel prossimo futuro, in primis quello dei metalmeccanici.
Ma cosa prevede l’accordo sulla produttività?
Verrebbe da dire niente di nuovo o, meglio, un vero e proprio ritorno al passato, al cottimo per la precisione.
In realtà non si tratta di una novità assoluta, poiché in tutte le aziende, tra le quali anche la nostra anche se pubblica amministrazione, dove è presente una contrattazione di secondo livello, parte del salario è già agganciato al raggiungimento di obiettivi: l’intento dichiarato dalle parti in questo nuovo accordo è di aumentare questa percentuale a discapito della contrattazione collettiva.
Aumentare la produttività significa aumentare la quantità di merci o servizi prodotti in un determinato tempo rispetto a quanto fatto in precedenza cioè, in parole povere, lavorare più intensamente, aumentare il livello di sfruttamento e, quindi, i margini di profitto.
Per far sì che i lavoratori subiscano senza troppe rimostranze quest’ennesimo attacco, il governo dal canto suo s’impegna, a seguito della firma dell’accordo da parte dei sindacati, ad emettere un provvedimento che abbassi il prelievo fiscale sugli incentivi alla produzione.
Si tratta in parte della famosa “paccata” di miliardi promessa dalla Fornero che nessuno ha mai visto e che doveva, tra l’altro, estendere anche gli ammortizzatori sociali.
In pratica, il lavoratore dovrebbe accusare meno il colpo perché, pagando un po’ meno tasse, non troverà grosse differenze in busta paga, o addirittura talvolta qualche spicciolo in più; peccato, però, che proprio per colmare quelle minori entrate l’esecutivo dovrà prontamente ridurre le uscite e, quindi, tagliare ancora di più sui servizi come scuola, sanità e trasporti.
Alla fine della fiera, quindi, ci troveremo ad aver lavorato di più e ad avere meno in termini di salario indiretto.
Tutto questo al netto delle “truffe” che normalmente operano le grandi aziende e che ben conoscono i lavoratori visto che spesso, pur di non pagare i premi, si ricorre a cavilli inseriti ad arte nei contratti e che puntualmente vengono trascurati dai sindacati in sede di trattativa.
Il governo ha più volte posto l’accento che la questione della produttività è il nodo centrale e che questa intesa è di vitale importanza per il futuro del nostro paese, in particolare per quanto concerne l’aspetto dell’occupazione.
Come abbiamo detto in precedenza, quest’accordo incide direttamente sui livelli di profittabilità e tanto basta a chiarire quali interessi ha a cuore il governo, ma più sottile è capire come ciò si collega alle politiche per l’impiego.
A nessuno, infatti, sfugge il fatto che se si lavora di più c’è bisogno di meno personale e, quindi, un aumento della produttività determina automaticamente una diminuzione dei livelli occupazionali.
Ebbene, nei fatti con questo accordo si palesa chiaramente qual è l’unica strategia del governo per l’occupazione: partecipare a livello internazionale alla gara al ribasso del costo del lavoro nella speranza di intercettare gli investimenti stranieri.
La Cisl, la Uil e l’Ugl hanno già sottoscritto, mentre la Cgil no.
Ma la mancata sottoscrizione della Cgil, a differenza di quanto si possa immaginare, non riguarda i contenuti dell’accordo (che sono pienamente condivisi), ma tutt’altra questione, che esula dai temi oggetto di trattativa, quale l’ammissione, per esempio, della Fiom al tavolo per il rinnovo del CCNL dei metalmeccanici.
Quindi, ancora una volta la parte datoriale, il governo e i sindacati pensano di dare “slancio” al paese colpendo i diritti dei lavoratori.
L'accordo sulla produttività non è altro che un ulteriore frutto avvelenato, una soluzione di comodo sulla pelle dei più deboli: riduzione dei salari reali, nessuna detassazione sulle tredicesime, contrattazione aziendale a discapito di quella nazionale, così da legittimare i ricatti di datori di lavoro come la Fiat insegna.
Infatti, la sostituzione della contrattazione aziendale e individuale a quella collettiva e nazionale indebolirà ancora di più la capacità contrattuale dei lavoratori, sia in gruppo che singoli.
Saremo ancora più deboli e, di conseguenza, la nostra condizione, che dipende dai rapporti di forza, non dalle regalie del padrone o dalle fasi di sviluppo, sempre o spesso contingenti, sarà peggiore.
Bisogna, pertanto, spiegare bene questa truffa dell’accordo sulla produttività perché altrimenti, in questa situazione di incultura e regressione politica e sindacale dilagante, può sembrare giusta e moderna.
Il nostro principio base era ed è tuttora che a "uguale lavoro, uguale salario", con l’idea portante che l'unificazione dei lavoratori di ogni categoria in un fronte coeso e compatto permette di costituire la massa critica atta a contrastare lo strapotere padronale e a garantire, collettivamente e per ciascuno, miglioramenti salariali e normativi altrimenti irraggiungibili.
Quella idea era ed è profondamente giusta.
Non è un caso che oggi viene rovesciata.
 

giovedì 22 novembre 2012

I pantaloni rosa.


Si chiamava Davide, ma i compagni, per offenderlo, lo chiamavano il "ragazzo dai vestiti rosa".
Davide è morto di omofobia, ieri pomeriggio.

Si è ucciso poco dopo le 17.
Non ce l'ha fatta più a sopportare quegli insulti che lo perseguitavano da troppo tempo.
I compagni lo denigravano da quando si era iscritto al liceo, in una zona centrale della Capitale.
Un tormento quasi quotidiano.
A scuola.
Ma anche sul web.
Avevano persino creato una pagina facebook, in cui lo prendevano continuamente in giro per i suoi modi di fare e anche per l'abbigliamento, per il suo colore preferito, il rosa.
Quella pagina era là, visibile a tutti, da tempo.
E questo Davide lo sapeva bene, forse si era anche rassegnato.
E martedì, quando si è presentato a scuola con lo smalto alle unghie, lo hanno deriso ancora e apostrofato "frocio", “ricchione”.
E dopo che una professoressa lo aveva ripreso per lo smalto, dicendogli che “non era il caso”, è tornato a casa e si è impiccato con la sua sciarpa.
A 15 anni.
Quel che è certo e che Davide voleva solo essere se stesso.
Voleva essere semplicemente Davide, un ragazzo con i pantaloni rosa.
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Riceviamo e pubblichiamo:

Salve,
ho ricevuto la vostra email e sono genitore di uno dei compagni di classe del ragazzo tragicamente scomparso.
Vi chiedo di non ripetere lo stesso errore commesso da molti organi di stampa in questi giorni, di non prendere lo stesso abbaglio, e di verificare le notizie prima di pubblicare commenti e opinioni non sostenute da fatti reali.
Noi, i compagni di classe, gli insegnanti, che stiamo vivendo in prima persona questo dramma sappiamo come stanno effettivamente le cose, ma nessuno si è preso l'onere di venircelo a chiedere prima di pubblicare articoli basati solo su supposizioni. Solo ieri qualcuno si è fatto vivo è ha iniziato perlomeno a porsi qualche dubbio, quando ormai le notizie false avevano iniziato a diffondersi in maniera incontrollata.  
Quindi, pur essendo consapevoli che, in questi casi, la cosa migliore che si può fare per rispetto dei familiari e delle persone coinvolte in questo dramma, è mantenere un rispettoso silenzio, vi chiedo cortesemente di pubblicare il comunicato che è stato redatto ieri dai compagni/insegnanti della classe del ragazzo (e concordato anche con il dirigente scolastico), e inviato a vari organi di stampa per rispondere alle numerose falsità che sono state diffuse.
Saluti.
(firmata).

Comunicato "Noi insegnanti"
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Gentile collega,
innanzitutto la ringraziamo per la sua testimonianza.
E' difficilissimo, di fronte ad una vita spezzata di un giovane ragazzo, trovare le parole e le modalità per discutere su quanto possano influenzare i luoghi comuni o le notizie a mezzo stampa.
Ci basiamo solo sulle poche frasi che una madre distrutta dal dolore ha pronunciato: "Lo hanno crocefisso come Gesù: ora voglio giustizia".
E lo stesso Presidente della Repubblica ha espresso preoccupazione "per il persistere di intollerabili atteggiamenti omofobi che ledono i diritti e la dignità della persona e ai quali bisogna opporre un fermo rifiuto".
Per questo, non possiamo condividere la logica che lei ci invita a praticare del "mantenere un rispettoso silenzio", perchè questo vuol dire solo continuare ad alimentare comportamenti e gesti che, invece, devono essere non solo condannati ma estirpati dalla coscienza civile.
 
Ci creda, non ci appartiene né la cultura del sospetto né tantomeno quella della diffamazione.
Nessuno vuole criminalizzare nessuno, e nessuno vuole generalizzare.
Noi siamo convinti, infatti, che saranno gli stessi compagni di scuola, i tanti ragazzi che lo hanno veramente amato, a fare giustizia di quello che è accaduto, aprendosi in modo trasparente così come faceva lui, con i suoi pantaloni rosa e lo smalto alle unghie.
 
Distinti saluti.



sabato 27 ottobre 2012

FUA 2011 - quota del 20%


In allegato, trasmettiamo ai lavoratori la proposta di accordo dell'amministrazione relativa alla restante quota del 20% del FUA 2011.
La predetta proposta riguarda il personale in servizio presso i Dipartimenti centrali del Tesoro, della Ragioneria Generale dello Stato (escluso l'IGICS), dell'Amministrazione Generale, del Personale e dei Servizi (escluso la Direzione Centrale dei Servizi del Tesoro e il CED di Latina) e degli Uffici di Diretta Collaborazione con l'Opera del Ministro (solo per il personale non beneficiario della specifica indennità di Gabinetto).
Il testo della bozza in questione è il solito "copia e incolla" dell'anno scorso, con la differenza di una diminuzione delle quote destinate al servizio di assistenza fiscale (tranne per i 9 eletti dell'ufficio VIII della ex DCSP).
Un'altra differenza la intercettiamo nella scala parametrale con la riproposizione del doppio "scalino" nell'area III (F1/F3 145 - F4/F6 150), già inserito nell'accordo nazionale del 14 settembre 2012.  
L'incontro tra la delegazione di Parte Pubblica, le Organizzazioni Sindacali territoriali e la RSU, inizialmente previsto per lo scorso 24 ottobre, è stato posticipato, su richiesta della UIL-PA, al prossimo 30 ottobre 2012 alle ore 15.30.
 

giovedì 25 ottobre 2012

27 ottobre - NO MONTI DAY.


Quella di sabato 27 ottobre è la prima vera manifestazione di opposizione, con un contenuto di classe, al governo antipopolare e antidemocratico dei "tecnici", alla sua politica di austerità.
Una politica spregevole, dettata dall'Unione Europea, dalla Banca Centrale Europea e dal Fondo Monetario Internazionale, necessaria per trasferire ancora di più ricchezza dal lavoro al capitale; necessaria per rimuovere ogni ostacolo esistente allo sfruttamento della forza-lavoro e liquidare, così, diritti e conquiste sociali.  
Protagonisti della manifestazione sono le forze operaie e popolari, gli studenti, gli inoccupati e il mondo del precariato, i dipendenti pubblici, i disoccupati e chi il lavoro lo aveva e ora non più, le donne e i pensionati a basso reddito e tanti "choosy" che resistono e lottano, ogni giorno, contro questa compagine governativa e chi la sostiene in nome della "competitività e produttività".
Sembra di assistere, purtroppo, ad una moviola infinita; si era detto che l’epoca delle leggi finanziarie e delle successive manovre correttive fossero, ormai, solo un ricordo del passato; ma i sublimi professori del governo della Bocconi non ne azzeccano una.
Ma c’è poco da sorridere, perché il conto lo paghiamo sempre noi.
Eppure si continua a tagliare la spesa pubblica, a togliere diritti ai lavoratori e ai cittadini.

E mentre la politica continua ad offrire spettacoli squallidi e indecenti, questo governo dei tecnici si guarda bene dal mettere mano a vere normative anticorruzione, il cui costo è pari ai tagli alla spesa pubblica; o a scovare i capitali illegalmente esportati, tassandoli al pari di tutti gli altri lavoratori e cittadini.
La recessione continua in tutta Europa con il record di quattro milioni di posti di lavoro persi; ma le uniche misure prese dalla UE, finora, sono state destinate al salvataggio delle banche, quelle stesse che al tempo delle vacche grasse hanno accumulato ingenti profitti e che, oggi, presentano a noi il conto delle loro speculazioni.
E’ necessario, quindi, scendere in piazza contro un governo imposto dall’oligarchia finanziaria, per rifiutare i diktat e opporsi alla politica di austerità; scendere in piazza per dire basta ai sacrifici funzionali solo per salvare i profitti dei padroni e urlare che le conseguenze della crisi e del debito, devono ricadere su chi l'ha generata e, cioè, sul capitale.
Lo stop ai licenziamenti, l’aumento dei salari e la riduzione dell’orario di lavoro, la riconquista dei CCNL e dell’art.18, l’abolizione del precariato, una forte tassazione su profitti, sulle rendite, sugli interessi, sui redditi, sui patrimoni, sulle transazioni finanziarie, la lotta spietata all’evasione fiscale borghese, il taglio delle spese militari e il NO alla guerra, l’aumento di quelle sociali, la difesa delle libertà delle classi sottomesse, sono tutte parole d'ordine che caratterizzano la nostra partecipazione; parole d'ordine che incoraggiano la lotta per la trasformazione sociale, per ricostruire uno stato sociale degno di questo nome, per uno sviluppo sostenibile che coniughi difesa del lavoro con la difesa dell’ambiente, per le nazionalizzazioni delle imprese strategiche contro l’abbuffata delle privatizzazioni.
Altro che "patto per la produttività" necessario solo a ridurre i salari e aumentare gli orari!
Sacrifici e privatizzazioni, disoccupazione e precarietà, riduzione dei diritti dei salari e delle pensioni per pagare un debito di cui non siamo responsabili e che ha garantito enormi profitti agli speculatori di ogni risma.
Per questo, saremo in piazza il 27 ottobre.

venerdì 19 ottobre 2012

Il Nobel per la Pace....


La campagna di mobilitazione contro l’acquisto dei cacciabombardieri F35 Joint Strike Fighter, è destinata a non avere fine, come giustamente deve essere per una scelta insensata ed economicamente folle che, non solo i pacifisti, ma la gente di buon senso non riesce ad accettare.
Ora, la notizia è che il costo già altissimo è lievitato del 60% circa, comportando una spesa maggiore di oltre 3/4 miliardi di euro, una cifra molto superiore di quanto la Legge di Stabilità taglia alla sanità, all’istruzione e agli enti locali. 
Se è pur vero che i nuovi cacciabombardieri F35 erano stati ridotti di numero dal governo “tecnico” (da 131 velivoli agli attuali 90), ci sembra che la spending review continui a valere per gli ospedali, per le scuole, per i servizi sociali, per i dipendenti pubblici ma non per i cacciabombardieri.
In realtà, niente di nuovo potremmo sostenere in prima battuta, perché il possibile aumento del costo dei F35 l’avevamo già denunciato da molto tempo.
La novità, quindi, è che dopo tante smentite arriva la conferma dei vertici delle forze armate, per bocca del segretario generale della Difesa che ammette una lievitazione del costo per ciascun cacciabombardiere; infatti, gli F35 Lightning 2, destinati all’'Aeronautica e alla Marina Italiana, costeranno 127,3 milioni di dollari (99 milioni di euro) a esemplare per la versione A convenzionale e 137.1 milioni di dollari (106,7 milioni di euro) per la versione B a decollo corto e atterraggio verticale (Stovl), che saranno imbarcati sulla portaerei Cavour. 
Un 60% di aumento ben superiore a quel 40% che, secondo l’indagine del governo sulla corruzione, è il sovrapprezzo medio per gli appalti pubblici dovuto al malaffare; tradotto in euro, un aggravio di spesa di almeno 13/14 miliardi invece dei 10 pattuiti dal governo.
Solo pochi giorni fa, il nostro Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato ha bloccato il provvedimento sugli esodati in discussione alla Camera dei Fannulloni, perché giudicato “troppo oneroso” e “privo della necessaria copertura”.
Non ci risulta, però, che lo stesso scrupolo verso i lavoratori senza stipendio e senza pensione sia stato applicato ai cacciabombardieri F35, per i quali spenderemo così tanti soldi nei prossimi anni.
Né, abbiamo notizia che la Corte dei Conti si sia interrogata su come mai in poco tempo una somma così enorme, sia destinata a lievitare di circa il 60%.
Ci sembra che il rigore di Monti e del Commissario Bondi valga per gli esodati, per i pensionati, per gli studenti e per i lavoratori pubblici, ma non per le armi, dove invece le spese più folli sono tutte ammesse e risultano compatibili con i conti del debito pubblico.
In sostanza, mentre il governo “ritocca” le pensioni, inasprisce i diritti e il prelievo fiscale, pota il bilancio di molti ministeri, affama i dipendenti statali, taglia il welfare il nostro “bel paese” continua la sua corsa agli armamenti.
Quanti asili nido e infrastrutture si potrebbero costruire, quanti servizi e ammortizzatori sociali potrebbero essere garantiti dallo Stato, quante aziende a rischio potrebbero essere salvate dalla bancarotta con quei soldi?
Siamo consapevoli, quindi, che ci troviamo di fronte all'ennesimo e gigantesco spreco di denaro pubblico a sostegno delle spese militari, distolto, invece, da usi socialmente e ambientalmente più utili e necessari.
Crediamo che opporsi agli F35, quindi, non sia solo una questione da “pacifisti”, ma da gente responsabile che si sente più vicina alla Costituzione che ai campi di battaglia.
Ma, del resto si sa che le lobby delle armi sono potentissime e che lo Stato è il primo produttore di armi, essendo ben presente nell’azionariato dell’industria bellica.
Insomma, alla faccia del premio Nobel per la Pace all’Unione Europea!

mercoledì 17 ottobre 2012

Fondo SIRIO: se lo conosci, lo eviti !


Il 14 Settembre 2011, presso l'Aran, è stato costituito il fondo pensione SIRIO, ovvero il fondo di previdenza complementare dei dipendenti della Pubblica Amministrazione che interessa i lavoratori dei Ministeri, degli Enti Pubblici non Economici, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del CNEL, dell’Enac e al quale potranno aderire l'Università e Ricerca, le Agenzie Fiscali, gli Enti di Ricerca e Sperimentazione, il Coni servizi SpA e le Federazioni Sportive, lavoratori che sino ad oggi non erano stati proiettati nel "pianeta" dei Fondi pensione.
Quindi, la consorteria di Cgil, Cisl, Uil, Unsa, Flp, Ugl, Cida-Unadis, Assomed e Dirstat si sono macchiati di quest'ennesimo misfatto, sulla strada della privatizzazione e dello smantellamento definitivo delle pensioni pubbliche.
Dal 18 ottobre 2012, pertanto, si apre la campagna di adesione al Fondo, ma già sono partiti, in tutti i posti di lavoro, una articolata e ben mirata operazione di marketing finanziario per spingere i lavoratori ad aderire al Fondo.
Sono già pronti, perciò, a chiedere ai lavoratori di rinunciare alla loro liquidazione, motivando ed esaltando, con tabelle, grafici e proiezioni, tutti i vantaggi e i profitti benefici che si potranno avere "investendo" nella previdenza complementare, attraversando il mercato azionario.
Il Fondo Sirio segue a ruota il Fondo Espero dei lavoratori della Scuola, che ha avuto scarsissime adesioni, e il fondo Perseo, per i dipendenti delle regioni ed autonomie locali e Sanità, che, di fatto, ancora non è partito.
Stessa sorte hanno avuto i fondi previdenza integrativa nel settore  privato (Fondo Cometa dei metalmeccanici, Fondo Fonchim dei chimici ecc.).
I due fondi pensione più "antichi e stimati", Cometa e Fonchim, hanno avuto, negli ultimi 10 anni, rendimenti medi annui rispettivamente del 2,51% e del 2,69% lordi, e bisogna ancora togliere da questi rendimenti, i costi, le commissioni, le tasse.
Il TFR, invece, ha reso negli stessi anni al netto di tutte le spese (anche quelle fiscali), più del 3% medio annuo garantendo capitale e un rendimento minimo anno per anno dell’1,5% più il 75% del tasso d’inflazione calcolato dall’Istat.
Questi signori, quindi, proveranno a indurre i lavoratori del Pubblico Impiego a devolvere il loro TFR a qualche fondo pensione chiuso (sinonimi: negoziale, sindacale, contrattuale) o aperto (Società Gestione Risparmio, banca, assicurazione) che sia.
In tutti i casi, è bene che ci resti in mente, che i Fondi Pensione in realtà non sono altro che prodotti finanziari e che, nonostante i nomi, non forniscono ai risparmiatori nessuna garanzia.
La stessa Banca d'Italia ha dovuto ammettere che l'80% dei lavoratori e delle lavoratrici non ha scelto la previdenza integrativa, la cui convenienza è solo presunta, anzi viene smentita da pochi fatti quali:
- i vantaggi fiscali per chi sceglie la previdenza integrativa sono praticamente nulli;
- si è dimostrato che il lavoratore rimasto col TFR dopo 20 anni ha un capitale e un rendimento nettamente superiore, malgrado il contributo datoriale a favore della previdenza integrativa;
- la previdenza integrativa serve per occultare le continue riforme previdenziali, con l'assenso dato da gran parte dei sindacati all'innalzamento dell'età lavorativa e alla perdita di potere di acquisto delle pensioni.
Ora, non contenti, ci riprovano, ma i lavoratori che hanno assistito negli ultimi anni, sino alle ultime manovre, ad un pullulare di riforme delle pensioni, tutte al ribasso e tutte peggiorative, non si faranno certo abbindolare.
Che credibilità possono, dunque, avere i fondi pensione e il fondo Sirio?
Chi oggi dice di non volere subire la crisi economica e finanziaria deve dimostrarlo con i fatti.
Sposare, come fanno tutti i sindacati, la previdenza integrativa inganna i lavoratori perché i fondi previdenziali servono solo alla speculazione, mentre i lavoratori pubblici hanno bisogno di rafforzare il potere di acquisto dei salari e delle pensioni.
Ma c'è un'altra considerazione da fare e, cioè, quella che riguarda l'evidente coesistenza di interessi tra la parte sindacale che promuove le adesioni ai fondi e quella assicurativa, bancaria e finanziaria che ne gestiscono, di fatto, la parte economica.
Per noi, chi siede nei consigli di amministrazione della previdenza integrativa non può ergersi a difensore degli interessi dei lavoratori, cercando maldestramente di convincerli sulla bontà della previdenza complementare privata.
La convinzione, che si può trarre da una condizione del genere, è che tramite i fondi pensionistici integrativi si saldi ancora di più una santa alleanza tra parte governativa, che ha promosso per il tramite dell'ARAN la creazione di questi fondi, le sigle sindacali che partecipano alla promozione e gestione, le entità bancarie e finanziarie nazionali ed internazionali e, indirettamente, i grandi gruppi industriali.
Il dubbio che i lavoratori si devono porre, a questo punto, è come sia possibile, per un sindacato, mantenere efficacemente il suo ruolo in difesa dei lavoratori nel momento in cui sceglie di divenire parte di un complesso meccanismo di promozione finanziaria in collaborazione con quelle stesse entità economiche e finanziarie che, da sempre, hanno il loro interesse nell'avversare i diritti dei lavoratori?
Cliccando su questo link, potrete scaricare l'atto costitutivo del Fondo pensione Sirio, con l'invito a soffermarvi in particolare sull'art. 13.

Occorre, quindi, contrastare fortemente l'adesione al Fondo di rapina Sirio e mobilitarsi contro gli attacchi continui al lavoro pubblico e alla sottomissione dei diktat dei banchieri e della BCE.
Sacrifici e privatizzazioni , disoccupazione e precarietà, riduzione dei diritti dei salari e delle pensioni per pagare un debito di cui non siamo responsabili e che ha garantito enormi profitti agli speculatori di ogni risma: è veramente arrivata l’ora di dire basta, di mobilitarsi contro le logiche del mercato, per ricostruire uno stato sociale degno di questo nome, per uno sviluppo sostenibile che coniughi difesa del lavoro con la difesa dell’ambiente, per le nazionalizzazioni delle imprese strategiche, contro l’abbuffata delle privatizzazioni.
Difendiamo i diritti, i salari, i posti di lavoro, i servizi pubblici, rimandando a casa i novelli promoter finanziari (Cgil, Cisl, Uil, Unsa, Flp, Ugl, Cida-Unadis, Assomed e Dirstat) con i loro fondi di rapina.
NO al fondo pensione Sirio.

mercoledì 10 ottobre 2012

Il Profumo del bastone.


Ormai è certo, il ministro dell'Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha perso il controllo delle metafore.
"Il Paese va allenato. Dobbiamo usare un po' di bastone e un po’ di carota e qualche volta dobbiamo utilizzare un po’ di più il bastone e un po' meno la carota. In altri momenti bisogna dare più carote, ma mai troppe".
Questo è quanto ha dichiarato a Genova durante la presentazione di un bando sulle “Smart Cities and Communities and Social Innovation”.
La frase di Profumo potrebbe suonare di una banalità sconvolgente se non rispecchiasse, in modo chirurgico, la politica dell’attuale esecutivo; basta soffermarci sulla sbandierata riduzione dell’Irpef che risulta essere, in termini di recupero del potere d’acquisto per i dipendenti pubblici, del tutto insignificante a fronte dell'aumento dell'Iva, del blocco delle retribuzioni fino al 2014, dello stop dell’indennità di vacanza contrattuale e della mancata restituzione di quanto maturato nel 2011/2012.
Prendendola alla lettera, però, questa affermazione del bastone e della carota è di un'incredibile gravità.
Dopo le violente cariche delle forze dell'ordine contro gli studenti medi di venerdì scorso, la boutade ispirata a un'elementare morale del castigo, fa rabbrividire.
Quella di Profumo, infatti, è la morale del re dei bastoni; i cittadini, per il governo, sono un corpo sociale immaturo, incapace di leggere la realtà, cui bisogna dare colpi e contentini secondo le convenienze.
E già il 5 ottobre scorso ha dimostrato la sua idea sull'uso dei bastoni, trattando le rivendicazioni degli studenti come una questione di ordine pubblico e non come una questione sociale.
Gli studenti hanno iniziato a protestare per lo scippo del loro futuro, per una scuola pubblica di qualità e risorse per studiare e, con loro, è stato usato immediatamente il bastone.
Siamo tenacemente convinti, perciò, che il ministro illustri, con questa metafora, una tecnica infallibile per la nostra educazione, dosando il metallo ignobile in misura assai più pesante del vegetale che rinforza la vista.
Con l’aggravante di essere un professore, il ministro ingrossa le file dei volenterosi carnefici dell’istruzione pubblica portando diligentemente a termine la più clamorosa trasformazione neoliberista degli atenei italiani, mentre la scuola pubblica attraversa una delle crisi più gravi della sua storia, priva del necessario e munita del superfluo.
Successivamente, il ministro Profumo ha chiarito il senso delle sue affermazioni, sostenendo che si riferiva ad una "piattaforma culturale" e annunciava che a breve in ogni classe ci sarà un tablet.
Si sa, i tecnici sono, per natura, presuntuosi e il dissenso non lo accettano facilmente.
Ma morale paternalistica e repressione, in democrazia, non sono accettabili.
E’ chiaro, quindi, che il tablet in ogni classe fa parte della sua politica della carota.
Ma il bastone?

martedì 9 ottobre 2012

duevirgolacinquepercento


Numerosi colleghi ci hanno inviato quesiti in merito alla famosa questione della trattenuta del 2,5% sull’80% della retribuzione relativa al TFR.
Tralasciando le solite e deplorevoli campagne "abbonamenti" che alcune realtà sindacali orchestrano ai danni dei lavoratori su questa tematica, tenteremo di fornire alcune informazioni al fine di poter liberamente decidere cosa fare, anche se, in realtà, la questione non ci appassiona particolarmente.
A breve, infatti, saremo impegnati a contrastare l'adesione al Fondo Sirio, un'altra rapina messa in atto ai danni dei lavoratori.
Partiamo, comunque, da un punto fermo; rispedire subito al mittente l'eventuale adesione sindacale che viene "offerta" al lavoratore quale condizione necessaria per intentare vertenze legali.
Quindi, dal 1° gennaio 2011, a seguito di quanto disposto dall’art 12, comma 10, D.L. 78/2010 (convertito con legge 122/2010), a tutti i pubblici dipendenti, ai fini della liquidazione, si applica il regime del trattamento di fine rapporto (TFR) e non più il trattamento di fine servizio (TFS).
Il nuovo regime comporta, come più volte abbiamo denunciato, una perdita economica stimata mediamente nel 25% della rendita; infatti, la differenza tra i due regimi è consistente in quanto per la buonuscita venivano accantonati contributi pari al 9,6% sull’80% della retribuzione, con il diritto di rivalsa a carico del lavoratore nella misura del 2,5%.
Con il TFR, invece, l’accantonamento è del 6,91% sull’intera retribuzione, interamente a carico del datore di lavoro, secondo quanto disposto dall’art. 2120 del codice civile.
A questo danno, si aggiunge la beffa poiché l’ex Inpdap, con circolare n. 17 dell'8 ottobre 2010, ha ritenuto che dal 2011 resta comunque invariata la natura del TFS però, con le nuove regole di calcolo del TFR.
La prima conseguenza di questa interpretazione che, secondo il nostro parere, viola l’art. 2120 del c.c. (che disciplina le modalità di calcolo del TFR e a cui espressamente ha rinviato l’art. 12 del D.L. 78/2010), è la pretesa da parte dell'Inpdap di continuare a prelevare il contributo del 2,5% a carico del dipendente.
Da qui, la richiesta di non pagare più il 2,5% mensile, ovvero circa 30/40 euro a carico dei dipendenti pubblici.
L’abolizione della precedente disciplina della buonuscita, più vantaggiosa rispetto al TFR, avrebbe dovuto comportare la cancellazione di questa ritenuta del 2,5% ma, attenzione, la legge non lo afferma esplicitamente.
Si perviene a questa conclusione solo per interpretazione, giacché la norma è formulata in maniera generica.
Oltre all’Inpdap, anche l’Aran nel 2011 ha emesso il proprio parere interpretativo, dal quale si evince che i dipendenti pubblici dovranno continuare a versare il contributo del 2,5%.
Inoltre, sulla materia si è espresso anche il nostro Ministero, la Direzione Centrale dei Servizi Informativi e dell’Innovazione – ufficio V, con il messaggio n. 29/2012 del 13 febbraio 2012, così come il Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato – IGESPES, con il quale si conferma la validità della ritenuta del 2,5%, interpretando le norme vigenti.
E’, ovviamente, un’interpretazione in favore della controparte, ma che resta valida sino a prova contraria.
Ora, è chiaro che le lettere di diffida, di messa in mora o di interruzione dei termini di prescrizione (la possibilità di vedersi restituiti i soldi pagati in eccesso rimane aperta per 5 anni dalla data di entrare in vigore della norma) sponsorizzate da alcune organizzazioni sindacali e inviate alla parte datoriale, non possono che scontrarsi con questo parere, cui le amministrazioni sono obbligate ad aderire.
Su questa questione, nel frattempo, si è pronunciato per primo il TAR per la Calabria – Sezione staccata di Reggio Calabria, con sentenza n. 53/2012, con la quale ha dichiarato totalmente abrogato, per sopravvenienza di specifica normativa, l’intero impianto dei trattamenti di fine servizio a decorrere dal 1° gennaio 2011 e, pertanto, l’illegittimità del perdurare del prelievo del 2,5% del contributo a carico del dipendente.
Il TAR ha, perciò, totalmente sconfessato l’operato dell’Inpdap che, con la circolare 17/2010, ha pensato bene di poter far sopravvivere tutte le negatività delle modalità di calcolo dei pregressi trattamenti di fine servizio, sommandole a tutti gli aspetti negativi delle nuove modalità di calcolo del TFR.
Inoltre, il Tribunale di Roma - Sezione controversie di lavoro, ha investito la Corte Costituzionale perché sia valutata la legittimità della persistenza della trattenuta del 2,5%, dopo l’entrata in vigore dell’art. 12 comma 10 del D.L. 78/2010, con riferimento agli artt. 3 (principio di uguaglianza) e 36 (giusta retribuzione) della Costituzione.
Fermo restando, quindi, la sentenza del TAR per la Calabria – Sezione staccata di Reggio Calabria, così come quella più recente del TAR per la Lombardia (n. 2321/2012) e non ultimo il giudizio pendente alla Corte Costituzionale, siamo convinti che, allo stato attuale, in una situazione giuridica ancora non bene definita, sia pericoloso suggerire ai lavoratori di affrontare la strada giurisdizionale attraverso ricorsi collettivi.
Vi ricordiamo, infine, che il problema riguarda circa 4 milioni di dipendenti pubblici e che, pertanto, vi è un fondato rischio, considerati i precedenti e analizzando la fase attuale di attacco frontale ai lavoratori pubblici, del solito intervento del governo per impedire l'eventuale ingente esborso di denaro.
In conclusione, per noi resta fermo il principio secondo il quale i diritti si difendono e si conquistano con le lotte e con la partecipazione attiva dei lavoratori; abbandonare questa strada e pensare che la "giustizia", o una semplice domandina, possano fornire risposte positive a questioni di tale portata, è una pura utopia.
Basti pensare all'imminente legge di stabilità che dovrebbe confermare, oltre al blocco dei contratti per tutto il 2014, anche quello per il biennio 2013-2014 e della indennità di vacanza contrattuale che tornerà nel 2015 calcolata sulla base dell'inflazione programmata. Inoltre, è prevista una stretta sui permessi della legge 104/1992 per il disabile o per la cura di parenti affetti da handicap; la retribuzione per i giorni di permesso (tre al mese) scende al 50% a meno che i permessi non siano fruiti per le patologie del dipendente stesso o per l'assistenza ai figli o al coniuge. Sono esclusi dal pagamento intero, quindi, i permessi fruiti per prendersi cura dei genitori disabili.
Che facciamo, allora, gli spediamo un messaggino di protesta?