Ministero dell'Economia e delle Finanze

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martedì 9 ottobre 2012

duevirgolacinquepercento


Numerosi colleghi ci hanno inviato quesiti in merito alla famosa questione della trattenuta del 2,5% sull’80% della retribuzione relativa al TFR.
Tralasciando le solite e deplorevoli campagne "abbonamenti" che alcune realtà sindacali orchestrano ai danni dei lavoratori su questa tematica, tenteremo di fornire alcune informazioni al fine di poter liberamente decidere cosa fare, anche se, in realtà, la questione non ci appassiona particolarmente.
A breve, infatti, saremo impegnati a contrastare l'adesione al Fondo Sirio, un'altra rapina messa in atto ai danni dei lavoratori.
Partiamo, comunque, da un punto fermo; rispedire subito al mittente l'eventuale adesione sindacale che viene "offerta" al lavoratore quale condizione necessaria per intentare vertenze legali.
Quindi, dal 1° gennaio 2011, a seguito di quanto disposto dall’art 12, comma 10, D.L. 78/2010 (convertito con legge 122/2010), a tutti i pubblici dipendenti, ai fini della liquidazione, si applica il regime del trattamento di fine rapporto (TFR) e non più il trattamento di fine servizio (TFS).
Il nuovo regime comporta, come più volte abbiamo denunciato, una perdita economica stimata mediamente nel 25% della rendita; infatti, la differenza tra i due regimi è consistente in quanto per la buonuscita venivano accantonati contributi pari al 9,6% sull’80% della retribuzione, con il diritto di rivalsa a carico del lavoratore nella misura del 2,5%.
Con il TFR, invece, l’accantonamento è del 6,91% sull’intera retribuzione, interamente a carico del datore di lavoro, secondo quanto disposto dall’art. 2120 del codice civile.
A questo danno, si aggiunge la beffa poiché l’ex Inpdap, con circolare n. 17 dell'8 ottobre 2010, ha ritenuto che dal 2011 resta comunque invariata la natura del TFS però, con le nuove regole di calcolo del TFR.
La prima conseguenza di questa interpretazione che, secondo il nostro parere, viola l’art. 2120 del c.c. (che disciplina le modalità di calcolo del TFR e a cui espressamente ha rinviato l’art. 12 del D.L. 78/2010), è la pretesa da parte dell'Inpdap di continuare a prelevare il contributo del 2,5% a carico del dipendente.
Da qui, la richiesta di non pagare più il 2,5% mensile, ovvero circa 30/40 euro a carico dei dipendenti pubblici.
L’abolizione della precedente disciplina della buonuscita, più vantaggiosa rispetto al TFR, avrebbe dovuto comportare la cancellazione di questa ritenuta del 2,5% ma, attenzione, la legge non lo afferma esplicitamente.
Si perviene a questa conclusione solo per interpretazione, giacché la norma è formulata in maniera generica.
Oltre all’Inpdap, anche l’Aran nel 2011 ha emesso il proprio parere interpretativo, dal quale si evince che i dipendenti pubblici dovranno continuare a versare il contributo del 2,5%.
Inoltre, sulla materia si è espresso anche il nostro Ministero, la Direzione Centrale dei Servizi Informativi e dell’Innovazione – ufficio V, con il messaggio n. 29/2012 del 13 febbraio 2012, così come il Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato – IGESPES, con il quale si conferma la validità della ritenuta del 2,5%, interpretando le norme vigenti.
E’, ovviamente, un’interpretazione in favore della controparte, ma che resta valida sino a prova contraria.
Ora, è chiaro che le lettere di diffida, di messa in mora o di interruzione dei termini di prescrizione (la possibilità di vedersi restituiti i soldi pagati in eccesso rimane aperta per 5 anni dalla data di entrare in vigore della norma) sponsorizzate da alcune organizzazioni sindacali e inviate alla parte datoriale, non possono che scontrarsi con questo parere, cui le amministrazioni sono obbligate ad aderire.
Su questa questione, nel frattempo, si è pronunciato per primo il TAR per la Calabria – Sezione staccata di Reggio Calabria, con sentenza n. 53/2012, con la quale ha dichiarato totalmente abrogato, per sopravvenienza di specifica normativa, l’intero impianto dei trattamenti di fine servizio a decorrere dal 1° gennaio 2011 e, pertanto, l’illegittimità del perdurare del prelievo del 2,5% del contributo a carico del dipendente.
Il TAR ha, perciò, totalmente sconfessato l’operato dell’Inpdap che, con la circolare 17/2010, ha pensato bene di poter far sopravvivere tutte le negatività delle modalità di calcolo dei pregressi trattamenti di fine servizio, sommandole a tutti gli aspetti negativi delle nuove modalità di calcolo del TFR.
Inoltre, il Tribunale di Roma - Sezione controversie di lavoro, ha investito la Corte Costituzionale perché sia valutata la legittimità della persistenza della trattenuta del 2,5%, dopo l’entrata in vigore dell’art. 12 comma 10 del D.L. 78/2010, con riferimento agli artt. 3 (principio di uguaglianza) e 36 (giusta retribuzione) della Costituzione.
Fermo restando, quindi, la sentenza del TAR per la Calabria – Sezione staccata di Reggio Calabria, così come quella più recente del TAR per la Lombardia (n. 2321/2012) e non ultimo il giudizio pendente alla Corte Costituzionale, siamo convinti che, allo stato attuale, in una situazione giuridica ancora non bene definita, sia pericoloso suggerire ai lavoratori di affrontare la strada giurisdizionale attraverso ricorsi collettivi.
Vi ricordiamo, infine, che il problema riguarda circa 4 milioni di dipendenti pubblici e che, pertanto, vi è un fondato rischio, considerati i precedenti e analizzando la fase attuale di attacco frontale ai lavoratori pubblici, del solito intervento del governo per impedire l'eventuale ingente esborso di denaro.
In conclusione, per noi resta fermo il principio secondo il quale i diritti si difendono e si conquistano con le lotte e con la partecipazione attiva dei lavoratori; abbandonare questa strada e pensare che la "giustizia", o una semplice domandina, possano fornire risposte positive a questioni di tale portata, è una pura utopia.
Basti pensare all'imminente legge di stabilità che dovrebbe confermare, oltre al blocco dei contratti per tutto il 2014, anche quello per il biennio 2013-2014 e della indennità di vacanza contrattuale che tornerà nel 2015 calcolata sulla base dell'inflazione programmata. Inoltre, è prevista una stretta sui permessi della legge 104/1992 per il disabile o per la cura di parenti affetti da handicap; la retribuzione per i giorni di permesso (tre al mese) scende al 50% a meno che i permessi non siano fruiti per le patologie del dipendente stesso o per l'assistenza ai figli o al coniuge. Sono esclusi dal pagamento intero, quindi, i permessi fruiti per prendersi cura dei genitori disabili.
Che facciamo, allora, gli spediamo un messaggino di protesta?


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