Numerosi
colleghi ci hanno inviato quesiti in merito alla famosa questione della
trattenuta del 2,5% sull’80% della retribuzione relativa al
TFR.
Tralasciando le
solite e deplorevoli campagne "abbonamenti" che alcune realtà sindacali
orchestrano ai danni dei lavoratori su questa tematica, tenteremo di fornire
alcune informazioni al fine di poter liberamente decidere cosa fare, anche se,
in realtà, la
questione non ci appassiona
particolarmente.
A
breve, infatti, saremo impegnati a contrastare l'adesione al Fondo Sirio,
un'altra rapina messa in atto ai danni dei
lavoratori.
Partiamo,
comunque, da un punto fermo; rispedire subito al mittente l'eventuale adesione
sindacale che viene "offerta" al lavoratore quale condizione necessaria per
intentare vertenze legali.
Quindi,
dal 1° gennaio 2011,
a seguito di quanto disposto dall’art 12, comma
10, D.L.
78/2010 (convertito con legge 122/2010), a tutti i pubblici dipendenti, ai fini
della liquidazione, si applica il regime del trattamento di fine rapporto (TFR)
e non più il trattamento di fine servizio (TFS).
Il
nuovo regime comporta, come più volte abbiamo denunciato, una perdita economica
stimata mediamente nel 25% della rendita; infatti, la differenza tra i due
regimi è consistente in quanto per la buonuscita venivano accantonati contributi
pari al 9,6% sull’80% della retribuzione, con il diritto di rivalsa a carico del
lavoratore nella misura del 2,5%.
Con
il TFR, invece, l’accantonamento è del 6,91% sull’intera retribuzione,
interamente a carico del datore di lavoro, secondo quanto disposto dall’art.
2120 del codice civile.
A
questo danno, si aggiunge la beffa poiché l’ex Inpdap, con circolare n. 17 dell'8 ottobre
2010, ha ritenuto che dal
2011 resta comunque invariata la natura del TFS però, con le nuove regole di
calcolo del TFR.
La
prima conseguenza di questa interpretazione che, secondo il nostro parere, viola
l’art. 2120 del c.c. (che disciplina le modalità di calcolo del TFR e a cui
espressamente ha rinviato l’art. 12 del D.L. 78/2010), è la pretesa da parte
dell'Inpdap di continuare a prelevare il contributo del 2,5% a carico del
dipendente.
Da
qui, la richiesta di non pagare più il 2,5% mensile, ovvero circa 30/40 euro a
carico dei dipendenti pubblici.
L’abolizione
della precedente disciplina della buonuscita, più vantaggiosa rispetto al TFR,
avrebbe dovuto comportare la cancellazione di questa ritenuta del 2,5% ma,
attenzione, la legge non lo afferma esplicitamente.
Si
perviene a questa conclusione solo per interpretazione, giacché la norma è
formulata in maniera generica.
Oltre
all’Inpdap, anche l’Aran nel 2011 ha emesso il proprio parere interpretativo,
dal quale si evince che i dipendenti pubblici dovranno continuare a versare il
contributo del 2,5%.
Inoltre,
sulla materia si è espresso anche il nostro Ministero, la Direzione
Centrale dei Servizi Informativi e dell’Innovazione – ufficio
V, con il messaggio n. 29/2012 del 13 febbraio
2012, così come il Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato –
IGESPES, con il quale si conferma la validità della ritenuta del 2,5%,
interpretando le norme vigenti.
E’,
ovviamente, un’interpretazione in favore della controparte, ma che resta valida
sino a prova contraria.
Ora, è chiaro che le lettere di diffida, di messa in mora o di
interruzione dei termini di prescrizione (la possibilità di vedersi restituiti i
soldi pagati in eccesso rimane aperta per 5 anni dalla data di entrare in vigore
della norma) sponsorizzate da alcune organizzazioni sindacali e inviate alla
parte datoriale, non possono che scontrarsi con questo parere, cui le
amministrazioni sono obbligate ad
aderire.
Su
questa questione, nel frattempo, si è pronunciato per primo il TAR per
la Calabria –
Sezione staccata di Reggio Calabria, con sentenza n. 53/2012, con la quale ha
dichiarato totalmente abrogato, per sopravvenienza di specifica normativa,
l’intero impianto dei trattamenti di fine servizio a decorrere dal 1° gennaio
2011 e, pertanto, l’illegittimità del perdurare del prelievo del 2,5% del
contributo a carico del dipendente.
Il
TAR ha, perciò, totalmente sconfessato l’operato dell’Inpdap che, con la circolare 17/2010, ha pensato bene di poter far
sopravvivere tutte le negatività delle modalità di calcolo dei pregressi
trattamenti di fine servizio, sommandole a tutti gli aspetti negativi delle
nuove modalità di calcolo del TFR.
Inoltre,
il Tribunale di Roma - Sezione controversie di lavoro, ha investito
la Corte
Costituzionale perché sia valutata la legittimità della
persistenza della trattenuta del 2,5%, dopo l’entrata in vigore dell’art. 12
comma 10 del D.L. 78/2010, con riferimento agli artt. 3 (principio di
uguaglianza) e 36 (giusta retribuzione) della
Costituzione.
Fermo
restando, quindi, la sentenza del TAR per la Calabria – Sezione
staccata di Reggio Calabria, così come quella più recente del TAR per
la Lombardia
(n. 2321/2012) e non ultimo il giudizio pendente alla Corte Costituzionale,
siamo convinti che, allo stato
attuale, in una situazione giuridica ancora non bene definita, sia
pericoloso suggerire ai lavoratori di affrontare la strada giurisdizionale
attraverso ricorsi collettivi.
Vi ricordiamo,
infine, che il problema riguarda circa 4 milioni di dipendenti pubblici e che,
pertanto, vi è un fondato rischio, considerati i precedenti e analizzando la
fase attuale di attacco frontale ai lavoratori pubblici, del solito intervento
del governo per impedire l'eventuale ingente esborso di
denaro.
In conclusione,
per noi resta fermo il principio secondo il quale i diritti si difendono e si
conquistano con le lotte e con la partecipazione attiva dei
lavoratori; abbandonare questa strada e pensare che la "giustizia", o una
semplice domandina, possano fornire risposte positive a questioni di tale
portata, è una pura utopia.
Basti pensare
all'imminente legge di stabilità che dovrebbe confermare, oltre al blocco dei
contratti per tutto il 2014, anche quello per il biennio 2013-2014 e della
indennità di vacanza contrattuale che tornerà nel 2015 calcolata sulla base
dell'inflazione programmata. Inoltre, è prevista una stretta sui permessi della legge 104/1992 per il disabile o
per la cura di parenti affetti da handicap; la retribuzione per i giorni di
permesso (tre al mese) scende al 50% a meno che i permessi non siano fruiti per
le patologie del dipendente stesso o per l'assistenza ai figli o al coniuge.
Sono esclusi dal pagamento intero, quindi, i permessi fruiti per prendersi cura
dei genitori disabili.
Che facciamo, allora,
gli spediamo un messaggino di
protesta?
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