Ministero dell'Economia e delle Finanze

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lunedì 13 ottobre 2014

La meglio gioventù.

Un giorno di pioggia intensa e a Genova si manifesta, per l’ennesima volta, l’intesa perfetta tra urbanizzazione e stagione delle piogge.
L’ennesima, repentina, alluvione; insomma, un déjà vu.
A una quantomeno strana estate, è seguito un torrido settembre e, così, nel giro di pochi giorni, le prime piogge torrenziali hanno di nuovo bussato alla porta di Genova.
Senza scomodare i cambiamenti climatici, certamente influenti sulle dinamiche meteorologiche e ecologiche dell’area del mediterraneo; senza dilungarsi sui fenomeni meteorologici importanti a cui è sottoposta questa particolare area geografica; senza inoltrarsi nella climatologia ligure, con piogge intense e ben localizzate, né nelle dinamiche idrografiche e del regime torrentizio ligure, è evidente che, a Genova, così come in tante altre parti del nostro territorio, il problema è l’urbanizzazione e la saturazione di cemento e infrastrutture, il cui impatto sull’ambiente è, ormai, sotto gli occhi di tutti, innegabile.
Chi dice il contrario, chi nega, mente, parla in malafede o in ignoranza.
La causa dell’alluvione, degli allagamenti, di tutti i “danni” della pioggia, sono da addebitare esclusivamente alla colata di cemento a cui è sottoposto il territorio genovese dallo scorso secolo, a chi l’ha voluta, sostenuta e sviluppata, a quella classe dirigente politico-economica assassina che, tutt’ora, persevera nel gonfiarsi le tasche con la distruzione del territorio, dividendosi il bottino con aziende, lobby e affaristi senza scrupoli.
Non è una caso che le zone più colpite, ancora una volta, siano i quartieri collinari e le aree urbane a fondo delle valli genovesi.
Ma è tutta la città di Genova, da ponente a levante, a subire di nuovo i disastri voluti dalla classe politico-economica, fautrice locale di quel modello di sviluppo che sta devastando il pianeta: lo sviluppo capitalista.
Aggressione edilizia del territorio, estesi disboscamenti, sfruttamento delle aree fluviali, urbanizzazione con il suo treno di cementificazione, di dissesto idrogeologico e costrizione delle dinamiche idrografiche naturali, industrializzazione, sono all’origine dell’eterna emergenza di Genova, così come di tante altre città del nostro paese.
Ebbene, vediamo che negli anni la classe dirigente ha trovato sempre il modo di tradurre i disastri che ha causato in nuovi profitti e nuovi progetti distruttivi (oltre che in più ampi spazi di potere e controllo), di nascondere tutto sotto una spessa coltre di menzogne; e, senza neanche domandarsi se fosse il caso di fermarsi, ha continuato (per nulla indisturbata) a perseverare nel distruggere il territorio per farne profitto.
Le esondazioni dei numerosi torrenti e di quelli minori, sono fenomeni naturali; a non esserlo sono il contesto urbano che le determina e caratterizza, in cui avvengono e in cui sono costrette, con tutte le conseguenze.
Ancora una volta, quindi, un fiume di fango dovuto al dilavamento delle zone disboscate per i cantieri del TAV-Terzo Valico, ha invaso il territorio.
Laddove sorgevano i boschi e le colline, sorgono ora due enormi cantieri dell’Alta Velocità, con la sentita partecipazione del Comune di Genova, Regione Liguria e dello Stato Italiano.
Qui, fino all’anno scorso, vivevano le due colline, che giorno dopo giorno vedevano la città avvicinarsi minacciosa sempre più.
I loro boschi saldavano i versanti, impedivano il veloce scorrere dell’acqua, ne rallentavano la forza.
Ora, lì hanno avuto la meglio i cantieri del TAV-Terzo Valico; benne, ruspe, trivelle, camion e gallerie hanno sostituito quelle distese di alberi e le conseguenze non hanno tardato a presentarsi.
Ma questo, purtroppo, è solo l’inizio.
È l’Italia intera che rischia di crollare sotto i colpi dell’abbandono della cultura della manutenzione e della progressiva cementificazione del territorio.
Paghiamo, quindi, un prezzo inaudito in termini di perdite di vite umane, di lavoro e di ricchezza di fronte a quello che sta avvenendo; basta pensare che il decreto “Sblocca Italia”, all’articolo 7, stanzia 110 milioni per la riduzione del rischio idrogeologico mentre, all’articolo 3, vengono destinati quattro miliardi di euro al sistema delle “Grandi opere”, che è affondato nella corruzione e ha svuotato le casse dello Stato.
Chi ancora avrà il coraggio di dire che le priorità, non solo di Genova, sono le grandi opere, si commenta da solo; quello che abbiamo sotto gli occhi oggi, ancora una volta, è lo scenario a cui ci vorrebbero abituare, se non fermiamo i loro piani scellerati.
Questo è il triste futuro a cui ci vorrebbero rassegnati e impotenti.
Purtroppo, la realtà dei fatti ci travolge ma c’è ancora chi si oppone a questo modello di sviluppo; c’è chi dice NO, chi lotta, chi resiste a questa devastante e disastrosa idea di mondo.
Lo scenario di oggi fa rabbia, rabbia enorme; ma bisogna continuare a lottare perché la borghesia, per esistere, deve produrre profitto anche se questo significa devastare il territorio e mettere a repentaglio lo stesso apparato produttivo di domani.
Il capitalismo pensa di fornire all’uomo la capacità di migliorare la propria esistenza controllando la natura, ma usa il pianeta come mero strumento di produzione da sfruttare fino a mettere a repentaglio la stessa esistenza.

Solo un sistema basato sui bisogni delle persone e non sul profitto, può mettere fine al saccheggio ambientale oltre che, a sfruttamento, a guerre e a morti.