I
privilegi di Saccomanni: come tassare se stesso tra case, pensioni,
stipendi.
La
dichiarazione dei redditi del ministro dell'Economia può fare da esempio
perfetto di ingiustizia fiscale.
A
parte le case a Roma, tra Parioli e comprensorio di D'Alema, su cui non pagherà
l'Imu, il tecnico percepisce 50 mila euro netti al mese. Reddito, questo,
prodotto dal cumulo tra pensione pubblica d'oro, indennità da ministro e reddito
da lavoro dipendente.
Dopo
avere avviato l’operazione verità sui conti italiani, il
ministro Saccomanni potrebbe estenderla anche ai suoi conti
personali.
Non
tanto perché abbia qualcosa da nascondere, quanto perché la sua dichiarazione
dei redditi è un perfetto esempio di ingiustizia fiscale e contributiva da
correggere.
I
giornali hanno messo in croce Saccomanni perché non pubblicava la sua
dichiarazione dei redditi.
Quando
il ministro ha fatto il suo dovere, però sul suo 730
è calato il silenzio.
Ed
è un peccato perché il modello
730 sontuoso pubblicato sul sito del Ministero dell’Economia rivela
tante piccole ingiustizie che meriterebbero di essere corrette, a partire dalla
tassazione immobiliare.
Il
ministro e la moglie, come tutti gli italiani, non pagheranno l’Imu sulla loro
prima casa, risparmiando i 2 mila e 16 euro versati lo scorso
anno.
Come Renato
Brunetta sulla sua villa sull’Ardeatina, anche Saccomanni non tirerà fuori un
euro per il suo mega attico ai Parioli.
L’ingiustizia
di questa scelta del governo Letta si acuisce se si guarda l’intero quadro
fabbricati del ministro: Saccomanni e consorte sono proprietari di altre due
belle case a Roma, una delle quali è situata nel comprensorio dove abita Massimo
D’Alema, vicino a viale Mazzini.
Le
due case rendono alla famiglia 135 mila euro in affitti, quasi 100 mila euro
netti all’anno, grazie alla tassazione cedolare al 19 per
cento.
Nel
2011 Saccomanni e i due fratelli avevano ereditato anche altre due case che poi
hanno venduto. Quella più lussuosa, sempre vicino al comprensorio di D’Alema, è
finita pochi mesi fa (dopo un passaggio nel 2011 al figlio Giovanni) a Fabiano
Fabiani, ex presidente di Finmeccanica.
Sul
fronte redditi va ancora meglio.
Saccomanni
è entrato in Banca d’Italia nel 1967 e dopo una parentesi alla Banca Europea di
Sviluppo, la Bers, dal 2003 al 2006, è stato direttore generale di via
Nazionale, con contratto a tempo determinato, fino alla nomina a ministro
nell’aprile 2013.
Nel
2012, probabilmente in virtù dell’uscita precedente del 2006, Saccomanni
percepiva una pensione da 135 mila euro lordi annui – probabilmente dall’Inps –
che si cumulavano al sontuoso trattamento retributivo di 530 mila euro come
direttore generale. E che ora si cumuleranno con il nuovo trattamento
pensionistico pagato dalla banca all’ex direttore generale (dall’aprile
scorso).
Scorrendo
il rigo C del modello
730 di Saccomanni si scopre, dopo il reddito da lavoro dipendente
di Bankitalia di 530 mila e dopo la pensione Inps da 135 mila, un
terzo misterioso reddito da lavoro dipendente a tempo determinato da 86 mila
euro all’anno che però proviene da un datore di lavoro diverso da
Bankitalia.
Chi
sarà?
Nonostante
le richieste del Fatto al suo portavoce, Saccomanni non l’ha voluto svelare.
Potrebbe essere la retribuzione per gli incarichi (dal 2006 fino ad aprile 2013)
di consigliere della Banca dei regolamenti Internazionali e di supplente del
consiglio della Banca centrale europea.
Ora
il ministro non potrà più lavorare per Basilea e
Francoforte.
In
compenso potrà usufruire di un cumulo vantaggioso: quello tra le sue pensioni
Bankitalia e Inps con l’indennità da ministro, 135 mila euro
all’anno.
Il
governo Letta ha escluso infatti il cumulo dello stipendio da ministro con
quello da dirigente pubblico ma non con quello da
pensione.
Come
il Fatto ha già raccontato, a Saccomanni spetterebbe anche la diaria da 3.500
euro al mese ma il portavoce del ministero sostiene che non la
percepisce.
Comunque
tra cumuli, cedolari e esenzioni, Saccomanni dispone di un reddito disponibile
che sfiora i 50
mila euro
netti al mese.
Se
il ministro volesse trovare i soldi per risanare il bilancio senza
aumentare l’Iva, e rispettando il principio di equità, dovrebbe guardare meglio
la sua dichiarazione dei redditi.
Per
il 2012 ha dichiarato 748.270
euro.
In
lieve diminuzione rispetto ai 752.829 euro del 2011.
Saccomanni,
invece di dimettersi, dovrebbe sfidare la strana maggioranza che lo sostiene
proponendo nell’ordine:
1)
una soglia per reddito e valore degli immobili che stemperi l’ingiustizia
dell’esenzione Imu sulla prima casa;
2)
il divieto di cumulo della pensione pubblica, specie se d’oro come la sua, con
il reddito da lavoro dipendente;
3)
il divieto di cumulo tra la pensione e il reddito da ministro o
parlamentare.
Le
norme che favoriscono il Saccomanni contribuente sono disapprovate
dal Saccomanni tecnico, ma non saranno abolite dal Saccomanni politico per paura
che un Brunetta qualsiasi abbatta il governo Letta.
Se
un ministro è tanto impotente da non riuscire nemmeno a eliminare i suoi
privilegi ingiusti, forse tanto vale davvero dimettersi.
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