Ministero dell'Economia e delle Finanze

Ministero dell'Economia e delle Finanze

martedì 24 settembre 2013

Il motore della storia.

Sono numerosi i lavoratori che ci sollevano critiche su una nostra "linea", per così dire vetero marxista, ormai datata e superata dagli eventi della storia.
L'utilizzo di vocaboli come padroni, capitale, borghesia, mezzi di produzione, proletariato, lotta di classe, ne sarebbe la controprova.
E' vero, l’espressione lotta di classe è stata progressivamente abbandonata; proprio per questo, chi parla di lotta di classe come noi è visto come un vecchio ortodosso, che ripropone vecchie teorie obsolete, sconfitte dalla storia e non più rispondenti alla realtà.
Ma in realtà, Marx affidò proprio alla lotta tra le classi il ruolo di motore della storia.
Secondo molti, infatti, le classi sociali non esisterebbero più, non esisterebbe la distinzione tra proletariato e borghesia così come ai tempi in cui Marx scriveva.
Ma le cose stanno davvero così?
Nessuno nega il fatto che in due secoli ci siano state modifiche nella composizione delle classi sociali, che siano cambiati contesti, modi di esprimere queste differenze.
La vecchia mentalità borghese ha subito certamente delle modifiche, l’articolazione della classe operaia anche, dovuta in modo particolare ad una nuova divisione del lavoro, all’emergere di nuove forme contrattuali, professionali, che non si ascrivono nel modello dell’operaio dell’industria fordista.
Ma queste modifiche nelle forme, tuttavia, hanno lasciato in questi duecento anni del tutto intatto l’elemento sostanziale della somma differenza tra chi detiene i mezzi di produzione e chi riceve un salario in cambio del proprio lavoro.
Niente altro che il vecchio conflitto tra capitale e lavoro, dove oggi il capitale non è solo quello industriale produttivo, ma nella fase del capitalismo monopolistico che noi viviamo, è quella fusione inestricabile tra capitale industriale e finanziario (banche, assicurazioni, istituti di credito).
Al contempo, l’abbandono di una visione conflittuale della lotta sindacale, ha lasciato enormi masse di lavoratori in balìa di un bombardamento ideologico mirato a inculcare la fine dalla divisione di classe, la possibilità del profitto e del benessere per tutti.
L’ubriacatura ideologica degli anni 80 e 90 ha prodotto un abbassamento enorme del grado di coscienza di classe tra i lavoratori.
Vi ricordate, per esempio, come pubblicizzavano, i sindacalisti di professione, la trasformazione privatistica del rapporto di lavoro pubblico come panacea di tutti i mali, che avrebbe prodotto miglioramenti professionali ed economici per tutti?
O quando ci hanno iniziato a raccontare la favola dell’insostenibilità della previdenza pubblica, del dualismo padre/figlio che obbligava l’introduzione della previdenza complementare con tanto di furto del TFR/TFS?
L’idea delle "partite IVA" del tutti "imprenditori di sé stessi", insieme alla parcellizzazione delle forme contrattuali, l’attacco alla contrattazione nazionale, l’esternalizzazione dei servizi, la flessibilità del mercato del lavoro e la sua precarizzazione, hanno prodotto una divisione enorme tra i lavoratori, che è stata enfatizzata culturalmente come fine della divisione di classe e utilizzata materialmente per dividere ed impedire rivendicazioni unitarie.
Nella realtà delle cose si tratta di nuove e più forti forme di sfruttamento che consentono di superare diritti acquisiti dai lavoratori salariati nello scorso secolo.
Ma come si sa, la realtà economica modifica le idee più di quanto esse modifichino la realtà economica.
Con l’esplosione della crisi economica si avverte un iniziale ritorno di presa di coscienza da parte del nuovo proletariato, mutato nelle forme, ma rimasto invariato nella sostanza.
La chiusura delle fabbriche, l’impoverimento di massa del cosiddetto "ceto medio", la crescente disuguaglianza sociale, la consapevolezza di una politica legata ai grandi interessi economici, fanno crescere di giorno in giorno l’idea di appartenenza di classe, molto più di quanto accadesse fino a qualche anno fa.
La testimonianza che la divisione tra classi permane, è data dal fatto che in questi anni i detentori dei colossi monopolistici hanno costantemente guadagnato.
Nonostante si tenti di far passare il messaggio del "siamo tutti sulla stessa barca" il conflitto tra capitale e lavoro emerge con forza nel momento della crisi, quando di fronte all’impoverimento di enormi masse di lavoratori, gettati nella disoccupazione, o nella spirale dell’abbassamento dei salari, i grandi monopolisti aumentano considerevolmente i loro profitti.
Proprio alcuni giorni fa, il mensile americano Forbes ha pubblicato l’analisi annuale sui 400 uomini più ricchi d’America, confrontandoli con il resto del paese.
Tra questi figurano Bill Gates, Warren Buffett, Larry Ellison, David Duffield, Rupert Murdoch, uomini che non hanno bisogno di presentazioni. L’insieme dei patrimoni personali di questi 400 magnati, vale 2.000 miliardi di dollari, l’equivalente del prodotto interno lordo della Russia.
Questo patrimonio è aumentato in un anno di 300 milioni di dollari, portando la quota del loro reddito al 19,3% del reddito complessivo delle famiglie americane.
Come disse alcuni anni fa proprio Warren Buffett: "la lotta di classe esiste e la stiamo vincendo noi".
Restando in casa nostra, da una analisi effettuata dalla Coldiretti, dall'inizio della crisi sono praticamente raddoppiati (+99%) gli italiani che si trovano in una condizione di povertà assoluta ed oggi sono 4,81 milioni quelli che non hanno una disponibilità economica sufficiente neanche ad acquistare beni e servizi essenziali per vivere.
Per questo noi non ci vergogniamo ad usare le parole operai, padroni, borghesi, classe, proletariato e lotta di classe.
Perché facendo scomparire le parole scompaiono anche i soggetti, le contraddizioni e, in questo modo chi subisce lo sfruttamento, chi è impoverito e depauperato, non ha più le parole per identificare se stesso ne per identificare la controparte; non sapremo dare un nome alla causa dei nostri problemi, non sapremo contro chi lottare e non sapremo nemmeno chi siamo.

E' vero, il tempo trascorre e noi ci siamo invecchiati, abbiamo perso i capelli e diventati anche un po' rincitrulliti ma la lotta di classe continua ad essere il motore della storia e gli sfruttatori ne hanno piena coscienza; è ora che la prendano anche gli sfruttati.

Nessun commento:

Posta un commento