Ministero dell'Economia e delle Finanze

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mercoledì 13 novembre 2013

L'uso delle parole.

Minorato Vocabolario on line - Treccani.it

minorato agg. e s. m. [part. pass. di minorare].

1. agg. e s. m. (f. -a) Di persona che, per cause patologiche, congenite o acquisite, o per mutilazioni, lesioni gravi dell’organismo e sim., è parzialmente privata delle facoltà fisiche o psichiche e non può inserirsi pienamente nella vita sociale: ragazzo m.; asilo, istituto per bambini m.; nell’uso, più frequente come sost.: m. fisico; i m.di guerra, i mutilati e gli invalidi; m. psichico, espressione generica che indica l’individuo le cui facoltà psichiche, e in partic. quelle intellettive e volitive, non raggiungono il normale livello di efficienza, senza però fare riferimento alle cause e alle modalità di insorgenza di tale condizione deficitaria. In tutte le espressioni ora citate, il termine è spesso considerato offensivo ed è stato pressoché abolito nel linguaggio ufficiale per essere sostituito con altri termini specifici.


L’utilizzo di parole che fanno riferimento alla disabilità, per insultare il proprio interlocutore è, purtroppo, una prassi dura a morire; un malcostume, un fenomeno radicato e diffuso.
"Minorato", "cerebroleso", "disabile", "mongoloide", "demente", "down", "handicappato", "disturbato" sono espressioni che troppo spesso ascoltiamo in televisione, alla radio, a scuola, sul lavoro, per strada o leggendo i giornali.
Nella maggior parte dei casi non c’è cattiveria o odio a spingere chi utilizza come insulto queste espressioni; si tratta, più spesso, di maleducazione, ignoranza, cattivo gusto.
C’è un po’ di tutto, insomma.
Il comune denominatore, comunque, è sempre lo stesso: adoperare peculiarità fisiche o situazioni di disabilità (intellettive, psicologiche, linguistiche, fisiche, sensoriali), per rivolgersi in modo spregiativo nei confronti di un avversario da colpire e rendere risibile.
Un vero e proprio virus quello delle offese alle persone con disabilità, ai minorati, appunto.
Ed è ancora più grave, poi, se a utilizzare questi termini in modo così gratuito, considerandoli insulti, sia  una organizzazione sindacale che si rivolge ai lavoratori del nostro ministero.
Non abbiamo nessuna intenzione di entrare nella diatriba che ha avvolto la contrattazione della quota del 20% del fondo di sede degli uffici centrali; si tratta, infatti, del solito teatrino, di una pantomima che viene recitata ogni anno e di cui si conosce, ormai, già il copione.
, tantomeno, vogliamo contaminarci nelle faide pseudo sindacali, a favore dell'uno o dell'altro.
Ci inorridisce, invece, il lessico utilizzato nel comunicare quello che è accaduto: "Meglio minoritari che minorati", così è stato intitolato un comunicato sindacale.
Una vergogna.
E pensare che chi adopera così spavaldamente questi termini, in questi giorni, invita i lavoratori a scioperare in nome dell'equità e della giustizia sociale.
In realtà, per noi, l'uso così disinvolto della parola "minorati" va ben oltre i confini della questione e dei diretti interessati, peraltro anch'essi partecipanti di questo triste teatrino; rappresenta, infatti, una visione sprezzante del disprezzo, una cultura fascistoide basata sull'attacco alla diversità e alla sofferenza.
Alla fine di ottobre, Raffaele, medico malato di Sla, è morto per il troppo stress dovuto ad un estenuante presidio sotto il nostro ministero, al quale aveva partecipato: lottava per aumentare il fondo per la non autosufficienza e per l'assistenza domiciliare ai disabili gravi e gravissimi.
Le parole, quindi, sono importanti, sono capaci di creare e distruggere, di spostare montagne, di assolvere o condannare, di riconoscere la dignità o cancellarla.
Non si tratta di essere buonisti perché ci sono parole che pesano come macigni, c
he confondono, mistificano, discriminano e offendono, contribuendo a reiterare, attraverso il linguaggio, ineguaglianze e ingiustizie; le parole possono essere muri o ponti.

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