Ministero dell'Economia e delle Finanze

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giovedì 6 ottobre 2011

3 euro e novantacinque centesimi.

3 euro e novantacinque centesimi, questa era la paga oraria che le quattro lavoratrici tessili, morte nel crollo della palazzina a Barletta, percepivano.
Lo chiamavano opificio, locali decrepiti, dove si lavorava su turni dalle 8 alle 14 ore, in uno stabile pericolante che si è sbriciolato uccidendo quattro donne e una bambina.
Confezionavano magliette e tute da ginnastica Matilde Doronzo, 32 anni, Giovanna Sardaro, 30 anni, Antonella Zaza, 36 anni e Tina Ceci, 37 anni e lavoravano in nero, senza contratto: lavoravano per sopravvivere.
Ma non sono sopravvissute alla competitività internazionale del mercato che, oltre a rubare diritti e tutele, ruba anche la vita.
Non basta solo la violenza che, da sempre, le donne sono oggetto in forme e modi che cambiano nello spazio e nel tempo, ma che mantengono intatta l'essenza di una condizione di subalternità che le accompagna nella loro crescita, nei loro studi, nel loro lavoro, nella loro vita sociale.
Le donne sono da sempre al centro del cerchio di massimo sfruttamento innescato dal neoliberismo, e ora della sua crisi.
In uno scenario caratterizzato dal peggioramento delle condizioni di vita per tutti, ancora una volta il prezzo più alto lo pagano le donne in termini di sovraccarico di lavoro, di mancanza assoluta di tutele e di restringimento delle libertà personali.
Il quadro di una precarietà generalizzata accentua la dimensione sessuata e gerarchica dei rapporti di produzione ed é così che il lavoro è più precario, sottopagato, meno qualificato e non permette alle donne di raggiungere l'autonomia economica; la peculiarità della condizione del lavoro precario preclude la possibilità di organizzare i tempi personali, di progettazione, le scelte affettive.
La dipendenza economica si aggrava dentro il precipitare di una crisi strutturale, in cui le donne sono e saranno espulse dal mondo del lavoro, costrette a permanere dentro strutture tradizionali di dipendenza come la famiglia, troppo spesso teatro di violenze e pressoché unico ammortizzatore sociale nell’ambito del uno stato sociale inadeguato.
Insomma, le donne pagano il conto sempre più salato e sono la punta avanzata di questi processi.
Ma siamo certi, però, che proprio le donne possono essere anche la punta avanzata delle lotte intorno ai nuovi diritti.
Per questo occorre rompere le catene dello sfruttamento, di nuove e vecchie forme di disciplinamento, per liberare tempi, spazi e rendere possibili processi di soggettivazione e di autodeterminazione.
Le trasformazioni avvenute, la volontà di far pagare alle lavoratrici e ai lavoratori i costi di una crisi provocata e gestita dai ricchi e dal grande capitale finanziario, ha esteso, a livello globale, il conflitto tra capitale e lavoro che assume, continuamente, forme nuove e molteplici tra cui il violento avanzare del conflitto tra capitale e vita.
La vita, proprio quella che è stata rubata a queste donne.

LAVORATORI AUTORGANIZZATI
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