Ministero dell'Economia e delle Finanze

Ministero dell'Economia e delle Finanze

giovedì 26 settembre 2013

Le "manni" nel "Sacco".

I privilegi di Saccomanni: come tassare se stesso tra case, pensioni, stipendi.

La dichiarazione dei redditi del ministro dell'Economia può fare da esempio perfetto di ingiustizia fiscale.
A parte le case a Roma, tra Parioli e comprensorio di D'Alema, su cui non pagherà l'Imu, il tecnico percepisce 50 mila euro netti al mese. Reddito, questo, prodotto dal cumulo tra pensione pubblica d'oro, indennità da ministro e reddito da lavoro dipendente.
Dopo avere avviato l’operazione verità sui conti italiani, il ministro Saccomanni potrebbe estenderla anche ai suoi conti personali.
Non tanto perché abbia qualcosa da nascondere, quanto perché la sua dichiarazione dei redditi è un perfetto esempio di ingiustizia fiscale e contributiva da correggere.
I giornali hanno messo in croce Saccomanni perché non pubblicava la sua dichiarazione dei redditi.
Quando il ministro ha fatto il suo dovere, però sul suo 730 è calato il silenzio.
Ed è un peccato perché il modello 730 sontuoso pubblicato sul sito del Ministero dell’Economia rivela tante piccole ingiustizie che meriterebbero di essere corrette, a partire dalla tassazione immobiliare.
Il ministro e la moglie, come tutti gli italiani, non pagheranno l’Imu sulla loro prima casa, risparmiando i 2 mila e 16 euro versati lo scorso anno.
Come Renato Brunetta sulla sua villa sull’Ardeatina, anche Saccomanni non tirerà fuori un euro per il suo mega attico ai Parioli.
L’ingiustizia di questa scelta del governo Letta si acuisce se si guarda l’intero quadro fabbricati del ministro: Saccomanni e consorte sono proprietari di altre due belle case a Roma, una delle quali è situata nel comprensorio dove abita Massimo D’Alema, vicino a viale Mazzini.
Le due case rendono alla famiglia 135 mila euro in affitti, quasi 100 mila euro netti all’anno, grazie alla tassazione cedolare al 19 per cento.
Nel 2011 Saccomanni e i due fratelli avevano ereditato anche altre due case che poi hanno venduto. Quella più lussuosa, sempre vicino al comprensorio di D’Alema, è finita pochi mesi fa (dopo un passaggio nel 2011 al figlio Giovanni) a Fabiano Fabiani, ex presidente di Finmeccanica.
Sul fronte redditi va ancora meglio.
Saccomanni è entrato in Banca d’Italia nel 1967 e dopo una parentesi alla Banca Europea di Sviluppo, la Bers, dal 2003 al 2006, è stato direttore generale di via Nazionale, con contratto a tempo determinato, fino alla nomina a ministro nell’aprile 2013.
Nel 2012, probabilmente in virtù dell’uscita precedente del 2006, Saccomanni percepiva una pensione da 135 mila euro lordi annui – probabilmente dall’Inps – che si cumulavano al sontuoso trattamento retributivo di 530 mila euro come direttore generale. E che ora si cumuleranno con il nuovo trattamento pensionistico pagato dalla banca all’ex direttore generale (dall’aprile scorso).
Scorrendo il rigo C del modello 730 di Saccomanni si scopre, dopo il reddito da lavoro dipendente di Bankitalia di 530 mila e dopo la pensione Inps da 135 mila, un terzo misterioso reddito da lavoro dipendente a tempo determinato da 86 mila euro all’anno che però proviene da un datore di lavoro diverso da Bankitalia.
Chi sarà?
Nonostante le richieste del Fatto al suo portavoce, Saccomanni non l’ha voluto svelare. Potrebbe essere la retribuzione per gli incarichi (dal 2006 fino ad aprile 2013) di consigliere della Banca dei regolamenti Internazionali e di supplente del consiglio della Banca centrale europea.
Ora il ministro non potrà più lavorare per Basilea e Francoforte.
In compenso potrà usufruire di un cumulo vantaggioso: quello tra le sue pensioni Bankitalia e Inps con l’indennità da ministro, 135 mila euro all’anno.
Il governo Letta ha escluso infatti il cumulo dello stipendio da ministro con quello da dirigente pubblico ma non con quello da pensione.
Come il Fatto ha già raccontato, a Saccomanni spetterebbe anche la diaria da 3.500 euro al mese ma il portavoce del ministero sostiene che non la percepisce.
Comunque tra cumuli, cedolari e esenzioni, Saccomanni dispone di un reddito disponibile che sfiora i 50 mila euro netti al mese.
Se il ministro volesse trovare i soldi per risanare il bilancio senza aumentare l’Iva, e rispettando il principio di equità, dovrebbe guardare meglio la sua dichiarazione dei redditi.
Per il 2012 ha dichiarato 748.270 euro.
In lieve diminuzione rispetto ai 752.829 euro del 2011.

Saccomanni, invece di dimettersi, dovrebbe sfidare la strana maggioranza che lo sostiene proponendo nell’ordine:
1) una soglia per reddito e valore degli immobili che stemperi l’ingiustizia dell’esenzione Imu sulla prima casa;
2) il divieto di cumulo della pensione pubblica, specie se d’oro come la sua, con il reddito da lavoro dipendente;
3) il divieto di cumulo tra la pensione e il reddito da ministro o parlamentare.

Le norme che favoriscono il Saccomanni contribuente sono disapprovate dal Saccomanni tecnico, ma non saranno abolite dal Saccomanni politico per paura che un Brunetta qualsiasi abbatta il governo Letta.
Se un ministro è tanto impotente da non riuscire nemmeno a eliminare i suoi privilegi ingiusti, forse tanto vale davvero dimettersi.




martedì 24 settembre 2013

Il motore della storia.

Sono numerosi i lavoratori che ci sollevano critiche su una nostra "linea", per così dire vetero marxista, ormai datata e superata dagli eventi della storia.
L'utilizzo di vocaboli come padroni, capitale, borghesia, mezzi di produzione, proletariato, lotta di classe, ne sarebbe la controprova.
E' vero, l’espressione lotta di classe è stata progressivamente abbandonata; proprio per questo, chi parla di lotta di classe come noi è visto come un vecchio ortodosso, che ripropone vecchie teorie obsolete, sconfitte dalla storia e non più rispondenti alla realtà.
Ma in realtà, Marx affidò proprio alla lotta tra le classi il ruolo di motore della storia.
Secondo molti, infatti, le classi sociali non esisterebbero più, non esisterebbe la distinzione tra proletariato e borghesia così come ai tempi in cui Marx scriveva.
Ma le cose stanno davvero così?
Nessuno nega il fatto che in due secoli ci siano state modifiche nella composizione delle classi sociali, che siano cambiati contesti, modi di esprimere queste differenze.
La vecchia mentalità borghese ha subito certamente delle modifiche, l’articolazione della classe operaia anche, dovuta in modo particolare ad una nuova divisione del lavoro, all’emergere di nuove forme contrattuali, professionali, che non si ascrivono nel modello dell’operaio dell’industria fordista.
Ma queste modifiche nelle forme, tuttavia, hanno lasciato in questi duecento anni del tutto intatto l’elemento sostanziale della somma differenza tra chi detiene i mezzi di produzione e chi riceve un salario in cambio del proprio lavoro.
Niente altro che il vecchio conflitto tra capitale e lavoro, dove oggi il capitale non è solo quello industriale produttivo, ma nella fase del capitalismo monopolistico che noi viviamo, è quella fusione inestricabile tra capitale industriale e finanziario (banche, assicurazioni, istituti di credito).
Al contempo, l’abbandono di una visione conflittuale della lotta sindacale, ha lasciato enormi masse di lavoratori in balìa di un bombardamento ideologico mirato a inculcare la fine dalla divisione di classe, la possibilità del profitto e del benessere per tutti.
L’ubriacatura ideologica degli anni 80 e 90 ha prodotto un abbassamento enorme del grado di coscienza di classe tra i lavoratori.
Vi ricordate, per esempio, come pubblicizzavano, i sindacalisti di professione, la trasformazione privatistica del rapporto di lavoro pubblico come panacea di tutti i mali, che avrebbe prodotto miglioramenti professionali ed economici per tutti?
O quando ci hanno iniziato a raccontare la favola dell’insostenibilità della previdenza pubblica, del dualismo padre/figlio che obbligava l’introduzione della previdenza complementare con tanto di furto del TFR/TFS?
L’idea delle "partite IVA" del tutti "imprenditori di sé stessi", insieme alla parcellizzazione delle forme contrattuali, l’attacco alla contrattazione nazionale, l’esternalizzazione dei servizi, la flessibilità del mercato del lavoro e la sua precarizzazione, hanno prodotto una divisione enorme tra i lavoratori, che è stata enfatizzata culturalmente come fine della divisione di classe e utilizzata materialmente per dividere ed impedire rivendicazioni unitarie.
Nella realtà delle cose si tratta di nuove e più forti forme di sfruttamento che consentono di superare diritti acquisiti dai lavoratori salariati nello scorso secolo.
Ma come si sa, la realtà economica modifica le idee più di quanto esse modifichino la realtà economica.
Con l’esplosione della crisi economica si avverte un iniziale ritorno di presa di coscienza da parte del nuovo proletariato, mutato nelle forme, ma rimasto invariato nella sostanza.
La chiusura delle fabbriche, l’impoverimento di massa del cosiddetto "ceto medio", la crescente disuguaglianza sociale, la consapevolezza di una politica legata ai grandi interessi economici, fanno crescere di giorno in giorno l’idea di appartenenza di classe, molto più di quanto accadesse fino a qualche anno fa.
La testimonianza che la divisione tra classi permane, è data dal fatto che in questi anni i detentori dei colossi monopolistici hanno costantemente guadagnato.
Nonostante si tenti di far passare il messaggio del "siamo tutti sulla stessa barca" il conflitto tra capitale e lavoro emerge con forza nel momento della crisi, quando di fronte all’impoverimento di enormi masse di lavoratori, gettati nella disoccupazione, o nella spirale dell’abbassamento dei salari, i grandi monopolisti aumentano considerevolmente i loro profitti.
Proprio alcuni giorni fa, il mensile americano Forbes ha pubblicato l’analisi annuale sui 400 uomini più ricchi d’America, confrontandoli con il resto del paese.
Tra questi figurano Bill Gates, Warren Buffett, Larry Ellison, David Duffield, Rupert Murdoch, uomini che non hanno bisogno di presentazioni. L’insieme dei patrimoni personali di questi 400 magnati, vale 2.000 miliardi di dollari, l’equivalente del prodotto interno lordo della Russia.
Questo patrimonio è aumentato in un anno di 300 milioni di dollari, portando la quota del loro reddito al 19,3% del reddito complessivo delle famiglie americane.
Come disse alcuni anni fa proprio Warren Buffett: "la lotta di classe esiste e la stiamo vincendo noi".
Restando in casa nostra, da una analisi effettuata dalla Coldiretti, dall'inizio della crisi sono praticamente raddoppiati (+99%) gli italiani che si trovano in una condizione di povertà assoluta ed oggi sono 4,81 milioni quelli che non hanno una disponibilità economica sufficiente neanche ad acquistare beni e servizi essenziali per vivere.
Per questo noi non ci vergogniamo ad usare le parole operai, padroni, borghesi, classe, proletariato e lotta di classe.
Perché facendo scomparire le parole scompaiono anche i soggetti, le contraddizioni e, in questo modo chi subisce lo sfruttamento, chi è impoverito e depauperato, non ha più le parole per identificare se stesso ne per identificare la controparte; non sapremo dare un nome alla causa dei nostri problemi, non sapremo contro chi lottare e non sapremo nemmeno chi siamo.

E' vero, il tempo trascorre e noi ci siamo invecchiati, abbiamo perso i capelli e diventati anche un po' rincitrulliti ma la lotta di classe continua ad essere il motore della storia e gli sfruttatori ne hanno piena coscienza; è ora che la prendano anche gli sfruttati.

mercoledì 11 settembre 2013

Inizia la scuola.

Inizia un nuovo anno scolastico per i nostri figli, ma la situazione peggiora sempre di più.
Il costo dei libri è aumentato ulteriormente, superando di molto i tetti previsti dal MIUR; così come sono aumentate le tariffe, i trasporti e le spese per la cancelleria.
Anche quest’anno, quindi, le scuole continueranno a chiedere, a noi genitori, vere e proprie tasse mascherate da contributi volontari, per rimediare ai continui tagli e alla mancanza di fondi.
In questo modo, la scuola pubblica diventa sempre più costosa e, in un momento di crisi come quello che stiamo vivendo, molte famiglie devono rinunciare a mandare i figli a scuola, o scelgono l’indirizzo scolastico sulla base dei costi e non sulle aspirazioni dei propri ragazzi.
Le scuole pubbliche italiane cadono a pezzi e i vincoli europei sul pareggio di bilancio e sulla riduzione della spesa pubblica, impediscono una seria campagna di messa in sicurezza e di adeguamento degli edifici, mentre consentono il salvataggio delle banche, la salvaguardia dei profitti delle grandi imprese e dell'industria delle armi.
A tutto ciò, si aggiunge la costante umiliazione a cui sono sottoposti i lavoratori della scuola, i docenti e il personale amministrativo, tecnico, ausiliare.
Il futuro che hanno davanti i nostri ragazzi, quindi, è pessimo.
Disoccupazione giovanile alle stelle, precarietà e assenza di diritti, salari bassi.
L’università è sempre più una università per pochi, dove chi ha i soldi va avanti, chi non li ha resta tagliato fuori.
La crisi economica fa perdere posti di lavoro, le misure dei governi dei tecnici, dei saggi, degli esperti o delle larghe intese non fanno altro che peggiorare la condizione della maggioranza della popolazione, mentre aumentano i profitti per i grandi monopoli e per gli speculatori finanziari.
Per combattere tutto questo c’è un solo modo: ritornare ad essere protagonisti del proprio futuro.
Il futuro, però, non cambierà da solo e, per conquistare un avvenire diverso, l’unica strada è riprendere il cammino della lotta di classe.
Lottare per la difesa della pubblica amministrazione come bene comune vuol dire lottare insieme ai nostri ragazzi per una scuola davvero gratuita, per un lavoro sicuro, che non sia sfruttamento, precarietà, assenza di diritti.
La distruzione della scuola pubblica, che passa attraverso il suo impoverimento e nella difficoltà all’accesso, significa fermare la diffusione del sapere e della conoscenza; questo, è uno strumento di controllo per il potere perché conoscere è saper leggere, interpretare, verificare di persona e non fidarsi di quello che ti dicono.
E la conoscenza ti fa dubitare, soprattutto del potere.
Per questo, vogliono ignoranti i nostri ragazzi, perché la cultura rende critici e la critica rende liberi.

Inizia un nuovo anno per i nostri ragazzi: non lasciamoli da soli.

martedì 3 settembre 2013

Taxi driver.....

Per la copertura del Decreto IMU, si parla di tagli per un totale di 975,80 milioni di euro, sottratti in diverse misure agli undici ministeri con portafogli.
Per la precisione: 644,80 al nostro ministero, 20,99 a quello dello Sviluppo, 1,01 al Lavoro, 16,72 alla Giustizia, 9,45 agli Esteri, 32.84 al Ministero dell’Interno, 6,80 a quello per l’Ambiente, 81,98 a quello per i Trasporti, 149,74 alla Difesa, 4,10 all’Agricoltura e 7,36 alla Salute.
Ma, in cosa si traducono questi tagli? 

250 milioni saranno tagliati al fondo per l’occupazione, cioè ai disoccupati;

300 milioni saranno tagliati alla Cassa Conguaglio Settore Elettronico che finanzia, praticamente, l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili;

300 milioni saranno tagliati alla manutenzione e agli investimenti per la rete delle ferrovie;

20 milioni saranno tagliati all’attività dell’Agenzia delle Entrate per l’assunzione di nuovi ispettori per la lotta contro l’evasione fiscale;

10 milioni per finanziare le trasferte del personale che si occupa di rintracciare evasori, del controllo sul lavoro nero, del contrasto al gioco illegale e alle "frodi" fiscali. 
E mentre sono ancora incerti i 600 milioni che dovrebbero arrivare dal condono per le lobby dell’azzardo(i re delle slot non vogliono pagare nemmeno quelli, anche se si tratta poco più di un piatto di lenticchie, cioè meno di un quarto della sanzione da 2,5 miliardi prevista dalla Corte dei Conti importo, questo, già fortemente ridimensionato dall’originario addebito da parte della GdF di 98 miliardi), si va avanti, invece, con gli F35, con gli Euro-fighter, con navi e carri armati comprati con i fondi del MISE.
E si continua ad andare avanti anche contro i lavoratori pubblici; proroga a tutto il 2014 del blocco delle retribuzioni, degli scatti e avanzamenti di carriera, nonché delle risorse destinate alla contrattazione integrativa e, recentemente, con la presa in giro della stabilizzazione dei precari della pubblica amministrazione.


E, da gennaio 2014, SERVICE TAX per tutti!