Lo scorso 17
aprile è stata siglata l'ipotesi di accordo tra la delegazione di parte
pubblica e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative della
dirigenza e del personale delle aree funzionali, per la definizione dei criteri
di ripartizione delle risorse per il Fondo Unico di Amministrazione e per quello
della separata area della dirigenza, anno 2011.
Si tratta, più semplicemente, della definizione delle quote di ripartizione tra i lavoratori e la dirigenza delle somme provenienti dal servizio di assistenza fiscale e dall'economie di gestione che sono state individuate rispettivamente, nel primo caso, nel 92% per il personale delle aree funzionali e nell'8% per la dirigenza (quota identica a quella dello scorso anno); nell'87% e nel 13%, per il secondo (lo scorso anno era dell'85% e del 15%).
L'accordo ha conseguito il consenso di tutte le organizzazioni sindacali (tranne quelle più fondamentaliste della dirigenza) che, in maniera più o meno simile, hanno giustificato l'adesione al testo con l'aumento, a favore dei lavoratori, di 2 punti di percentuale della quota di ripartizione dell'economie di gestione.
Riassumendo, si può tranquillamente sostenere che l'ipotesi di accordo prevede, a differenza di quello del 2010, l'elargizione di una piccola mancia dirigenziale, considerando che le organizzazioni sindacali rappresentative del personale delle aree funzionali sono anche le stesse che rappresentano, sullo stesso tavolo e con una spiccata capacità di ubiquità, anche quella dirigenziale; insomma, se la suonano e se la cantano.
Ma i lavoratori non si devono troppo illudere poiché la "mancetta" sarà riassorbita nell'ambito del più vasto e corposo saccheggio delle somme del FUA che, oramai, ogni anno si ripete puntualmente; pagamento incontrollato delle indennità di turno e di reperibilità, ambigua consistenza numerica dei lavoratori impegnati nel servizio di assistenza fiscale, posizioni indennitarie degli uffici di diretta collaborazione con l'opera del Ministro.
In conclusione, la prossima e imminente ipotesi di accordo sull'individuazione dei criteri di assegnazione del FUA 2011, complementare all'ipotesi siglata il 17 aprile, manterrà inalterata quell'ampia zona grigia di clientelismo e di ingiustificata diversificazione reddituale.
Ma il 17 aprile è accaduta anche un'altra cosa.
Il Senato, seguendo le imposizioni dell’UE che, ossessivamente, ha chiesto di varare leggi, preferibilmente di rango costituzionale necessarie per rendere permanenti le politiche di austerità, ha votato, in quarta deliberazione, il disegno di legge di controriforma dell’art. 81 della Costituzione, introducendo il principio dell'equilibrio delle entrate e delle spese, il cosiddetto "pareggio di bilancio".
I governi europei, infatti, hanno deciso di imporsi il pareggio di bilancio, dandogli persino valore costituzionale, quasi si trattasse di un principio fondante delle nostre democrazie, e il Parlamento Italiano ha obbedito e cambiato l’art. 81 in modo da impedire, alle istituzioni pubbliche, politiche di correzione del ciclo economico a sostegno dell’occupazione, di redistribuzione del reddito o di fornitura di servizi pubblici a garanzia dei diritti sociali.
Sul piano costituzionale si rischierà di avere anche un conflitto fra norme; l’art. 3, infatti, assegna alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli economici e sociali che limitano lo sviluppo delle persone e l’uguaglianza delle stesse. Cosa accadrebbe, per esempio, nel caso in cui lo Stato, per via del vincolo di bilancio, dovesse intervenire ulteriormente sulla scuola o sulla sanità intaccando i livelli percepiti come "essenziali" dalla popolazione?
Questo significa, pertanto, che sarà impossibile investire ma, soprattutto, attivare una serie di diritti previsti dalla nostra Costituzione: il diritto alla scolarità che non deve essere "per ceto", l’assistenza sanitaria gratuita per tutti, il diritto a una serie di servizi alla persona.
Ora, interpretando la Costituzione e facendo perno sull’articolo 81 così come modificato, tutti questi diritti primari non saranno più esigibili. O, almeno, saranno subordinati al vincolo del pareggio di bilancio.
Quindi, la questione è molto semplice: il senso di questa "riforma" costituzionale è che se uno "vuole" dei diritti, se li deve pagare.
Allarmante, poi, è stato il silenzio corale che ha accompagnato questo processo di modifica costituzionale, su un tema di così rilevante portata.
Il cerchio si chiude se si riflette, infine, sul fatto che la modifica è stata approvata mediante il quorum dei due terzi dei componenti nella seconda votazione, sia alla Camera che al Senato, impedendo, in tal modo, la possibilità di essere sottoposta a referendum popolare.
Si tratta, più semplicemente, della definizione delle quote di ripartizione tra i lavoratori e la dirigenza delle somme provenienti dal servizio di assistenza fiscale e dall'economie di gestione che sono state individuate rispettivamente, nel primo caso, nel 92% per il personale delle aree funzionali e nell'8% per la dirigenza (quota identica a quella dello scorso anno); nell'87% e nel 13%, per il secondo (lo scorso anno era dell'85% e del 15%).
L'accordo ha conseguito il consenso di tutte le organizzazioni sindacali (tranne quelle più fondamentaliste della dirigenza) che, in maniera più o meno simile, hanno giustificato l'adesione al testo con l'aumento, a favore dei lavoratori, di 2 punti di percentuale della quota di ripartizione dell'economie di gestione.
Riassumendo, si può tranquillamente sostenere che l'ipotesi di accordo prevede, a differenza di quello del 2010, l'elargizione di una piccola mancia dirigenziale, considerando che le organizzazioni sindacali rappresentative del personale delle aree funzionali sono anche le stesse che rappresentano, sullo stesso tavolo e con una spiccata capacità di ubiquità, anche quella dirigenziale; insomma, se la suonano e se la cantano.
Ma i lavoratori non si devono troppo illudere poiché la "mancetta" sarà riassorbita nell'ambito del più vasto e corposo saccheggio delle somme del FUA che, oramai, ogni anno si ripete puntualmente; pagamento incontrollato delle indennità di turno e di reperibilità, ambigua consistenza numerica dei lavoratori impegnati nel servizio di assistenza fiscale, posizioni indennitarie degli uffici di diretta collaborazione con l'opera del Ministro.
In conclusione, la prossima e imminente ipotesi di accordo sull'individuazione dei criteri di assegnazione del FUA 2011, complementare all'ipotesi siglata il 17 aprile, manterrà inalterata quell'ampia zona grigia di clientelismo e di ingiustificata diversificazione reddituale.
Ma il 17 aprile è accaduta anche un'altra cosa.
Il Senato, seguendo le imposizioni dell’UE che, ossessivamente, ha chiesto di varare leggi, preferibilmente di rango costituzionale necessarie per rendere permanenti le politiche di austerità, ha votato, in quarta deliberazione, il disegno di legge di controriforma dell’art. 81 della Costituzione, introducendo il principio dell'equilibrio delle entrate e delle spese, il cosiddetto "pareggio di bilancio".
I governi europei, infatti, hanno deciso di imporsi il pareggio di bilancio, dandogli persino valore costituzionale, quasi si trattasse di un principio fondante delle nostre democrazie, e il Parlamento Italiano ha obbedito e cambiato l’art. 81 in modo da impedire, alle istituzioni pubbliche, politiche di correzione del ciclo economico a sostegno dell’occupazione, di redistribuzione del reddito o di fornitura di servizi pubblici a garanzia dei diritti sociali.
Sul piano costituzionale si rischierà di avere anche un conflitto fra norme; l’art. 3, infatti, assegna alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli economici e sociali che limitano lo sviluppo delle persone e l’uguaglianza delle stesse. Cosa accadrebbe, per esempio, nel caso in cui lo Stato, per via del vincolo di bilancio, dovesse intervenire ulteriormente sulla scuola o sulla sanità intaccando i livelli percepiti come "essenziali" dalla popolazione?
Questo significa, pertanto, che sarà impossibile investire ma, soprattutto, attivare una serie di diritti previsti dalla nostra Costituzione: il diritto alla scolarità che non deve essere "per ceto", l’assistenza sanitaria gratuita per tutti, il diritto a una serie di servizi alla persona.
Ora, interpretando la Costituzione e facendo perno sull’articolo 81 così come modificato, tutti questi diritti primari non saranno più esigibili. O, almeno, saranno subordinati al vincolo del pareggio di bilancio.
Quindi, la questione è molto semplice: il senso di questa "riforma" costituzionale è che se uno "vuole" dei diritti, se li deve pagare.
Allarmante, poi, è stato il silenzio corale che ha accompagnato questo processo di modifica costituzionale, su un tema di così rilevante portata.
Il cerchio si chiude se si riflette, infine, sul fatto che la modifica è stata approvata mediante il quorum dei due terzi dei componenti nella seconda votazione, sia alla Camera che al Senato, impedendo, in tal modo, la possibilità di essere sottoposta a referendum popolare.
Non c'è che dire, il
17 aprile, purtroppo, è proprio un giorno da
ricordare.
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