Ministero dell'Economia e delle Finanze

Ministero dell'Economia e delle Finanze

mercoledì 20 agosto 2014

La carta per la conciliazione.

Sarà per questa strana estate, ma le sorprese non finiscono mai.
Nella Home/Focus dell’intranetDAG è apparsa la notizia dell’adozione in via sperimentale, da parte del Dipartimento dell’Amministrazione Generale, del Personale e dei Servizi, della “Carta per la conciliazione dei tempi di vita”.
Tre paginette, di cui una di premesse, con le quali si propongono alcune linee guida tendenti a favorire “all’interno del Ministero dell’Economia e delle Finanze, la conciliazione della vita personale del dipendente con quella lavorativa”.
L’intento, quindi, è quello di raggiungere un equilibrio ottimale fra “la sfera personale ed il tempo dedicato alla famiglia”, tra “impegni lavorativi e doveri familiari”, per “una più equa distribuzione delle responsabilità legate alla genitorialità”, il tutto al fine di costruire un clima più favorevole, più sereno nell’ambito lavorativo necessario anche per “promuovere l’uguaglianza professionale tra uomini e donne ed una più equa ripartizione delle responsabilità legate alla famiglia”.
Il raggiungimento di questo obiettivo, quindi, viene strettamente legato al “cambiamento organizzativo e culturale” all’interno di ogni singolo ufficio e ad una “una nuova mentalità che valorizzi il tempo dedicato alla vita privata e che sia sensibile alle esigenze legate alle responsabilità familiari”; i soggetti indispensabili per realizzare tale rivoluzionario cambiamento, sono innanzitutto coloro che rivestono “responsabilità apicali”.
Il tutto, quindi, si dovrebbe concretamente tradurre in “regole organizzative e di gestione del personale rispettose degli impegni e della sfera familiare dei dipendenti”.
Di fronte a tali nobili intenti, siamo rimasti senza parole, senza fiato.
Solo per alcuni istanti, però.
Infatti, a nostro avviso, la questione dovrebbe essere argomentata con contenuti un po’ più seri, anziché essere liquidata con un semplice appello rivolto alla classe dirigente auspicando un loro comportamento da buon padre di famiglia; i
nsomma, al loro buon cuore.
Perché se così non fosse si corre il rischio, senza voler offendere nessuno, di cadere nella più sconcertante banalità.
Le politiche di austerity applicate, l’impoverimento di massa dei dipendenti, la perdita del potere d’acquisto, la mortificazione professionale con il diniego al diritto alla carriera, il blocco decennale dei rinnovi contrattuali (in cantiere il congelamento per altri 2 anni), l’inasprimento delle regole di condotta, la desertificazione dei diritti dei lavoratori, la sterilizzazione delle relazioni sindacali, la cancellazione degli spazi di democrazia nei luoghi di lavoro, l’allungamento sine die dell’attività lavorativa, il massacro di quel poco di welfare ormai esistente, i tagli incisivi alle politiche per le pari opportunità, al sostentamento delle famiglie, alle tutele della maternità e della paternità, il diritto alla salute e alle cure senza tagliole economiche, il diniego ad una vita dignitosa, non possono essere ignorati, non possono non contare poiché sono proprio questi gli elementi, solo per citarne alcuni, che incidono modificando fortemente la condizione personale, familiare e lavorativa dei "dipendenti" del MEF.
Lo sanno tutti, ma fanno finta di nulla.
L'inconsistenza dello stipendio, per esempio, costringe sempre più lavoratrici e lavoratori a prolungare il proprio orario di lavoro fino a sera, in una sorte di detenzione coattiva, per poter racimolare quel salario accessorio divenuto indispensabile per la sopravvivenza e sottraendo, in tale modo, tempi e spazi proprio a quella sfera personale e familiare di cui la determina del DAG auspica un maggior equilibrio.
Ormai, si trascorre più tempo in ufficio che in famiglia.
Per non volare troppo alto, senza intraprendere riflessioni e analisi sul rapporto che intercorre fra il lavoro salariato e il capitale, tra la schiavitù e la schiavitù salariata, fra l’alienazione del lavoro e le patologie depressive celate, e restare, pertanto, nel nostro “piccolo”, basterebbe soffermarci sul fatto che la locale RSU - DAG/RGS/DT di Via XX Settembre da oltre tre anni ha chiesto un tavolo di confronto con la parte pubblica per uniformare gli accordi sull’orario di lavoro attualmente vigenti; da allora, i vertici dell’amministrazione continuano a fare “orecchie da mercante”, a far finta di non sentire e di non capire.
Ordini di servizio, rilevazione e verifica dei carichi di lavoro, ottimizzazione delle risorse umane, razionalizzazione organizzativa, piante organiche, formazione, sicurezza sui luoghi di lavoro, valutazione e gestione dello stress lavoro correlato e dei rischi connessi, sembrano parole astruse, senza senso.
Altro che l’auspicio ad “una nuova mentalità”!
E che dire delle innumerevoli e paradossali “riorganizzazioni” del nostro ministero, concluse con la destrutturazione di funzioni vitali per i cittadini a favore dell'incentivazione del gioco d’azzardo, del benessere fondato sull’illusione, il tutto per far cassa?
E alle lavoratrici e ai lavoratori, alle donne e agli uomini delle dieci sedi delle RTS che chiuderanno tra poco, quali sono le linee guide proposte per conciliare i loro tempi di vita?
Insomma, ci sembra che questa “Carta per la conciliazione dei tempi di vita” non sia altro che un semplice e formale atto di generosità borghese, di nobiltà d’animo dal sapore progressista e democratico in un contesto terribile di arretramento dei diritti dei lavoratori conquistati in lunghi anni di lotta e di impegno sociale.
Il nostro auspicio, invece, è l'opposizione al furto sistematico delle nostre vite e del nostro tempo, a chi ci propone la nostra vita all’incontrario nella quale le esigenze dell’economia e la gogna del lavoro sono considerati gli unici parametri in base ai quali regolarsi; siamo convinti che tutto questo sia l’unica autentica ricchezza cui si possa seriamente aspirare.
Tempo da scegliere e da dedicare a ciò che si ama, che ci appassiona, che ci soddisfa; il nostro tempo, la nostra libertà, il nostro desiderio, rivendicare con forza il “tempo liberato”.
Un tempo liberato che non emargini, tempo di tutti, tempo di vita, tempo di integrazione, tempo festivo, tempo di intense passioni.
Occorre rovesciare un mondo fondato sulle esigenze dell’economia e sostituirlo, al più presto, con un mondo fondato sul desiderio, il desiderio irrinunciabile di riappropriazione, di godimento del proprio tempo.
Liberarsi dal lavoro, quello che garantisce ricavi ai padroni, quello che continua a ricattarci sottomettendoci alle sue sempre più raffinate tecniche di sfruttamento, di soggiogamento, di condizionamento profondo.
Queste sono le nostre semplici linee guida, questa è la nostra unica carta.

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