Nello
scorso mese di luglio, è stato reso pubblico il rapporto dell’Istat sulla
“povertà in Italia nel 2013”, una relazione che ha prodotto un nuovo bollettino
dal fronte della lotta di classe dall’alto.
Usiamo questa espressione per descrivere meglio come il capitalismo finanziario e le politiche di austerità abbiano spostato immense ricchezze in direzione del vertice della piramide sociale, sottraendole al lavoro e alle famiglie nelle zone medio-basse.
Oggi, è utile per dare una forma ad uno dei loro principali effetti: dal 2012 al 2013, l’anno di passaggio dal governo Monti a quello Letta, dal governo dei "tecnici" a quello dei "politici", l’esplosione della povertà assoluta è aumentata colpendo 1 milione e 206 mila persone in più.
Non ci piace addentrarci nei numeri ma, in questo caso, è d'obbligo elencarli per poter comprendere seriamente la catastrofe che viviamo.
In Italia ci sono 6 milioni e 20 mila di indigenti, il 9,9% della popolazione, un residente su 10.
I poveri relativi sono più di 10 milioni.Dall’inizio della crisi sistemica, la povertà è aumentata del 150%, in particolare a Sud; tra i minori l’emergenza è drammatica, 1 milione 434 mila persone, uno stillicidio.
È un record mai visto dal 2005, da quando esiste la rilevazione di questa stima.
Nel 2012 i poveri assoluti erano 4,8 milioni (l’8% della popolazione), raddoppiati dall’inizio della crisi nel 2008 e tutto questo è avvenuto mentre i governi hanno tagliato la spesa sociale da 2,5 miliardi a 964 milioni di euro.
Nel dettaglio, la povertà assoluta è aumentata tra le famiglie con tre (dal 6,6 all’8,3%), quattro (dall’8,3 all’11,8%) e cinque o più componenti (dal 17,2 al 22,1%).
In attesa dei dati sul 2014, sappiamo che sono peggiorate le condizioni delle coppie con figli (dal 5,9 al 7,5%) se hanno un figlio unico. Se, invece, sono due, le difficoltà aumentano dal 16,2 al 21,3%.
È notte fonda quando i figli sono tre o più, soprattutto se non hanno raggiunto la maggiore età.
La povertà si accanisce su quelle famiglie in cui la persona di riferimento ha un titolo di studio medio-basso, ad esempio la licenza media inferiore (dal 9,3 all’11,1%).
Ancora peggio se il capofamiglia ha solo la licenza elementare dal 10 al 12,1% in un anno.
In questa cornice viene colpito duramente il ceto medio povero: gli impiegati, gli operai, senza parlare di chi è disoccupato e in cerca di occupazione (dal 23,6 al 28%).
E poi c’è la guerra silenziosa che vede tra le principali vittime gli anziani: dal 4 al 6,1% se sono in coppia.
Le famiglie con almeno due anziani sono colpite dal 5,1 al 7,4% e, tra gli ultrasessantacinquenni i poveri assoluti nel 2013 erano 888 mila, 728 mila nel 2012.
Il Sud è la parte del paese più tartassata.
Ci sono 725 mila poveri in più, complessivamente 3 milioni 72 mila persone in stato di grave bisogno.
A differenza dell’andamento nazionale, dove la povertà relativa pari a 972,52 euro per una famiglia di due componenti, è rimasta nel frattempo stabile (dal 12,7 al 12,6%, con una perdita “solo” di 18 euro), nel Mezzogiorno è aumentata ancora dal 21,4 al 23,5%.
In Italia ci sono 10 milioni e 48 mila persone che si trovano in questa condizione, pari al 16,6% della popolazione.
Il dato più duro, e che non può essere taciuto, riguarda la povertà assoluta dei minori.
Gli under 18 poverissimi sono aumentati nell’anno peggiore della crisi: nel 2012 erano 1 milione 58 mila (10,3% del totale). Nel 2013 erano 1 milione 434 mila persone (il 13,8%).
Nel 2013, 428.587 bambini con meno di cinque anni hanno avuto bisogno di aiuto per bere latte o mangiare.
A Sud sono 149 mila, il 35% del totale, a Nord 129.420, il 30%. Il 40% di questi bambini vivono in Campania e Sicilia.
In Italia, quindi, la crisi economica non si arresta, siamo in piena “recessione”, iniziata non dopo un periodo di ripresa ma, bensì, dopo una lunga stagnazione; l'indice nazionale dei prezzi al consumo pone dieci, tra le più grandi città del paese, in piena deflazione.
La situazione peggiorerà perché i padroni non fanno investimenti, gli 80 euro sono stati un bluff elettorale e l’export diminuirà, visto che anche i paesi capitalisti “emergenti” rallentano e non possono fungere da assorbitori di merci e ammortizzatori della crisi come prima.
Le precedenti ondate recessive hanno causato la perdita di circa 9 punti di PIL e di un quarto del prodotto industriale, reso drammatico il problema della disoccupazione (specie quella giovanile) e della povertà.
Con la nuova recessione le conseguenze saranno ancora più gravi.
Dopo sette anni di crisi la borghesia non ha più grandi margini di manovra; questo significa che inasprirà la sua offensiva e con ciò la lotta di classe, la famosa lotta di classe dall'alto.
Recessione fa rima con aggressione per il capitale monopolistico finanziario e i suoi governi, come quello neoliberista attuale.
Il “rottamatore” ha esaurito la luna di miele e deve dimostrare ai poteri forti che lo hanno insediato senza voto elettorale, che è capace di affrontare la situazione con una maggiore aggressività antioperaia e antipopolare, a partire dallo Statuto dei Lavoratori.
Infatti, sotto l'abito di buon taglio del Presidente della BCE, abbiamo visto spuntare nei giorni scorsi le stellette.
La richiesta di delegare le riforme strutturali, cioè la distruzione del welfare e dei diritti dei lavoratori, ad organismi europei non eletti da nessuno ha un solo significato: la proposta ai governi di realizzare un colpo di stato che abolisca la democrazia e la sovranità dei popoli.
Sempre di più è evidente di come il capitalismo non sia in grado di uscire dalla crisi che ha determinato e di come la ricetta che ci propongono sia quella di distruggere tutto quanto di buono sia stato costruito grazie alle lotte dei lavoratori.
Per questo, l'attuale governo deve andare avanti concretamente e a ritmi più rapidi nel suo programma di controriforme costituzionali e politiche, di austerità e privatizzazioni, di flessibilità e precarietà, di maggiore presenza militare all’estero e altri tagli alla spesa sociale.
Il capitale finanziario e il suo governo vanno all’attacco e lo scenario che si intravvede è quello di una “catastrofe sociale e politica”.
Lo spaventoso aumento della povertà materiale e delle diseguaglianze nel nostro paese, insieme alla perdita sostanziale di molti diritti acquisiti, evidenziano l’accanimento delle politiche d’austerità in atto, le scellerate priorità politiche rendendo quanto mai urgente e necessario l’impegno e la partecipazione di tutti noi.
Le soluzioni per garantire “una vita libera e dignitosa” sono radicali e sono completamente opposte a quelle che ci propinano: l'Italia deve disobbedire unilateralmente ai trattati europei, non rispettare il 3% del deficit, non applicare il Fiscal Compact, non assumere nuovi impegni di stangate antipopolari che loro chiamano riforme, non pagare il debito, ripubblicizzare i servizi essenziali, sospendere gli sfratti esecutivi, destinare il patrimonio immobiliare sfitto e quello requisito alla criminalità per usi sociali e abitativi, creare il “reddito minimo di cittadinanza”, rifiutarsi di cedere ulteriore potere e sovranità ad istituzioni che fanno unicamente gli interessi delle banche e delle multinazionali, requisire la ricchezza prodotta in possesso di poche mani distribuendola ai tanti che hanno poco o nulla.
Usiamo questa espressione per descrivere meglio come il capitalismo finanziario e le politiche di austerità abbiano spostato immense ricchezze in direzione del vertice della piramide sociale, sottraendole al lavoro e alle famiglie nelle zone medio-basse.
Oggi, è utile per dare una forma ad uno dei loro principali effetti: dal 2012 al 2013, l’anno di passaggio dal governo Monti a quello Letta, dal governo dei "tecnici" a quello dei "politici", l’esplosione della povertà assoluta è aumentata colpendo 1 milione e 206 mila persone in più.
Non ci piace addentrarci nei numeri ma, in questo caso, è d'obbligo elencarli per poter comprendere seriamente la catastrofe che viviamo.
In Italia ci sono 6 milioni e 20 mila di indigenti, il 9,9% della popolazione, un residente su 10.
I poveri relativi sono più di 10 milioni.Dall’inizio della crisi sistemica, la povertà è aumentata del 150%, in particolare a Sud; tra i minori l’emergenza è drammatica, 1 milione 434 mila persone, uno stillicidio.
È un record mai visto dal 2005, da quando esiste la rilevazione di questa stima.
Nel 2012 i poveri assoluti erano 4,8 milioni (l’8% della popolazione), raddoppiati dall’inizio della crisi nel 2008 e tutto questo è avvenuto mentre i governi hanno tagliato la spesa sociale da 2,5 miliardi a 964 milioni di euro.
Nel dettaglio, la povertà assoluta è aumentata tra le famiglie con tre (dal 6,6 all’8,3%), quattro (dall’8,3 all’11,8%) e cinque o più componenti (dal 17,2 al 22,1%).
In attesa dei dati sul 2014, sappiamo che sono peggiorate le condizioni delle coppie con figli (dal 5,9 al 7,5%) se hanno un figlio unico. Se, invece, sono due, le difficoltà aumentano dal 16,2 al 21,3%.
È notte fonda quando i figli sono tre o più, soprattutto se non hanno raggiunto la maggiore età.
La povertà si accanisce su quelle famiglie in cui la persona di riferimento ha un titolo di studio medio-basso, ad esempio la licenza media inferiore (dal 9,3 all’11,1%).
Ancora peggio se il capofamiglia ha solo la licenza elementare dal 10 al 12,1% in un anno.
In questa cornice viene colpito duramente il ceto medio povero: gli impiegati, gli operai, senza parlare di chi è disoccupato e in cerca di occupazione (dal 23,6 al 28%).
E poi c’è la guerra silenziosa che vede tra le principali vittime gli anziani: dal 4 al 6,1% se sono in coppia.
Le famiglie con almeno due anziani sono colpite dal 5,1 al 7,4% e, tra gli ultrasessantacinquenni i poveri assoluti nel 2013 erano 888 mila, 728 mila nel 2012.
Il Sud è la parte del paese più tartassata.
Ci sono 725 mila poveri in più, complessivamente 3 milioni 72 mila persone in stato di grave bisogno.
A differenza dell’andamento nazionale, dove la povertà relativa pari a 972,52 euro per una famiglia di due componenti, è rimasta nel frattempo stabile (dal 12,7 al 12,6%, con una perdita “solo” di 18 euro), nel Mezzogiorno è aumentata ancora dal 21,4 al 23,5%.
In Italia ci sono 10 milioni e 48 mila persone che si trovano in questa condizione, pari al 16,6% della popolazione.
Il dato più duro, e che non può essere taciuto, riguarda la povertà assoluta dei minori.
Gli under 18 poverissimi sono aumentati nell’anno peggiore della crisi: nel 2012 erano 1 milione 58 mila (10,3% del totale). Nel 2013 erano 1 milione 434 mila persone (il 13,8%).
Nel 2013, 428.587 bambini con meno di cinque anni hanno avuto bisogno di aiuto per bere latte o mangiare.
A Sud sono 149 mila, il 35% del totale, a Nord 129.420, il 30%. Il 40% di questi bambini vivono in Campania e Sicilia.
In Italia, quindi, la crisi economica non si arresta, siamo in piena “recessione”, iniziata non dopo un periodo di ripresa ma, bensì, dopo una lunga stagnazione; l'indice nazionale dei prezzi al consumo pone dieci, tra le più grandi città del paese, in piena deflazione.
La situazione peggiorerà perché i padroni non fanno investimenti, gli 80 euro sono stati un bluff elettorale e l’export diminuirà, visto che anche i paesi capitalisti “emergenti” rallentano e non possono fungere da assorbitori di merci e ammortizzatori della crisi come prima.
Le precedenti ondate recessive hanno causato la perdita di circa 9 punti di PIL e di un quarto del prodotto industriale, reso drammatico il problema della disoccupazione (specie quella giovanile) e della povertà.
Con la nuova recessione le conseguenze saranno ancora più gravi.
Dopo sette anni di crisi la borghesia non ha più grandi margini di manovra; questo significa che inasprirà la sua offensiva e con ciò la lotta di classe, la famosa lotta di classe dall'alto.
Recessione fa rima con aggressione per il capitale monopolistico finanziario e i suoi governi, come quello neoliberista attuale.
Il “rottamatore” ha esaurito la luna di miele e deve dimostrare ai poteri forti che lo hanno insediato senza voto elettorale, che è capace di affrontare la situazione con una maggiore aggressività antioperaia e antipopolare, a partire dallo Statuto dei Lavoratori.
Infatti, sotto l'abito di buon taglio del Presidente della BCE, abbiamo visto spuntare nei giorni scorsi le stellette.
La richiesta di delegare le riforme strutturali, cioè la distruzione del welfare e dei diritti dei lavoratori, ad organismi europei non eletti da nessuno ha un solo significato: la proposta ai governi di realizzare un colpo di stato che abolisca la democrazia e la sovranità dei popoli.
Sempre di più è evidente di come il capitalismo non sia in grado di uscire dalla crisi che ha determinato e di come la ricetta che ci propongono sia quella di distruggere tutto quanto di buono sia stato costruito grazie alle lotte dei lavoratori.
Per questo, l'attuale governo deve andare avanti concretamente e a ritmi più rapidi nel suo programma di controriforme costituzionali e politiche, di austerità e privatizzazioni, di flessibilità e precarietà, di maggiore presenza militare all’estero e altri tagli alla spesa sociale.
Il capitale finanziario e il suo governo vanno all’attacco e lo scenario che si intravvede è quello di una “catastrofe sociale e politica”.
Lo spaventoso aumento della povertà materiale e delle diseguaglianze nel nostro paese, insieme alla perdita sostanziale di molti diritti acquisiti, evidenziano l’accanimento delle politiche d’austerità in atto, le scellerate priorità politiche rendendo quanto mai urgente e necessario l’impegno e la partecipazione di tutti noi.
Le soluzioni per garantire “una vita libera e dignitosa” sono radicali e sono completamente opposte a quelle che ci propinano: l'Italia deve disobbedire unilateralmente ai trattati europei, non rispettare il 3% del deficit, non applicare il Fiscal Compact, non assumere nuovi impegni di stangate antipopolari che loro chiamano riforme, non pagare il debito, ripubblicizzare i servizi essenziali, sospendere gli sfratti esecutivi, destinare il patrimonio immobiliare sfitto e quello requisito alla criminalità per usi sociali e abitativi, creare il “reddito minimo di cittadinanza”, rifiutarsi di cedere ulteriore potere e sovranità ad istituzioni che fanno unicamente gli interessi delle banche e delle multinazionali, requisire la ricchezza prodotta in possesso di poche mani distribuendola ai tanti che hanno poco o nulla.
Questa, è l'unica strada da
percorrere.
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