Ministero dell'Economia e delle Finanze

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lunedì 20 agosto 2012

Angelo non ce l'ha fatta.


Angelo Di Carlo non ce l’ha fatta.
Le ustioni che interessavano l’85% del suo corpo l’hanno ucciso; pochi giorni fa, si era dato fuoco fuori Montecitorio, davanti al Palazzo.
Scarne e brevi le notizie sul suo estremo gesto apparse sui giornali, nelle televisioni; tutte indicano nella mancanza di lavoro, nella sua condizione di disoccupato il motivo scatenante.
Angelo aveva donato tutta la sua vita all’impegno civile, all'assistenza agli immigrati, all'aiuto ai più deboli, alla lotta contro la precarietà.
Angelo era uno di noi.
Dopo aver perso il lavoro era lui tra i più deboli e sapeva, conosceva bene quella condizione perché l'aveva vissuta negli altri; e sapeva bene anche che dalle stanze di quel Palazzo non sarebbe arrivata nessuna risposta, nessun aiuto.
Per questo si è dato fuoco proprio davanti alla Camera, scelta come luogo simbolo di una classe politica in cui non si riconosceva, davanti a quel simbolo di un potere assassino che ci sta uccidendo, che sta distruggendo ogni forma di democrazia e di solidarietà nel nostro paese.
Lo abbiamo già detto da tempo, il nostro tessuto democratico è sotto l’attacco spietato di persone senza scrupoli, senz’anima, famelici divoratori delle nostre esistenze, dei nostri corpi.
Angelo, e tutti quelli che hanno rinunciato alla loro vita per la disperazione che li ha soffocati, ci urlano il loro disprezzo per questa gente che si arricchisce giorno dopo giorno sulle sofferenze e sui sacrifici di chi lavora.
L’inizio dell’autunno provocherà, in molte famiglie italiane, altra disperazione; tecnici, politici e professori, insieme nella lotta di classe contro i lavoratori, contro chi è debole e in sofferenza.
Alcuni di noi non ce la fanno a sopportarlo, è un’offesa troppo grossa alla nostra vita, alla nostra dignità, al nostro impegno, mentre il silenzio aumenta la solitudine.
Ecco perché credere, come faceva Angelo, che il mondo possa essere migliore, oggi è più difficile; perché si è soli e perché si lotta contro chi si nasconde dietro i grandi potentati economici.
Ma abbiamo il dovere di non restare più a guardare.
Queste morti, quella di Angelo e quelle di tanti come lui, non pesano solo sulla coscienza di questo governo; pesano anche sulla nostra indifferenza, sulla nostra incapacità di reagire.
Lo dobbiamo ad Angelo, a molti come lui e anche a noi.


"Odio gli indifferenti.
Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano.
L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita.
Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?
Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto.
E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini.
Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano.
Vivo, sono partigiano.

Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti".

11 febbraio 1917 - Antonio Gramsci

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