Ministero dell'Economia e delle Finanze

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mercoledì 4 luglio 2012

Genova non è finita.


Nel luglio del 2001 ci recammo a Genova per gridare, ai potenti del G8, “un altro mondo è possibile”.
Un mondo dove le scelte politiche non fossero dettate dalle banche e dagli speculatori; dove la voce dei molti, non fosse zittita dall’arroganza dei pochi.
Da una parte c’era il “movimento dei movimenti”, la più imponente ondata di mobilitazione collettiva dalla fine degli anni Settanta, dove la cifra distintiva della pluralità ne costituiva la forza e l’imponenza.
Dall’altra, i governi e il potere economico che, a Genova, trovarono il teatro ideale per la rappresentazione della tragedia, il cui finale doveva essere uno e uno solo: fare degli anni a venire un deserto dell’opposizione sociale, per dare libero sfogo alla globalizzazione selvaggia, al neoliberismo rampante, alla finanza da rapina.
La gestione dell’ordine pubblico nei giorni del G8 genovese del luglio del 2001, rappresenta una ferita ancora oggi aperta nella storia recente della Repubblica Italiana.
Dieci anni dopo l’omicidio di Carlo Giuliani, non solo non sono stati individuati i responsabili della “macelleria messicana” avvenuta nella scuola Diaz, delle torture nella caserma di Bolzaneto, delle violenze e dei pestaggi nelle strade genovesi, ma chi gestì allora l’ordine pubblico a Genova ha percorso una brillante carriera.
Mentre lo Stato assolve se stesso da quella che Amnesty International ha definito “la più grande sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”, il prossimo 13 luglio dieci persone rischiano di diventare i capri espiatori e vedersi confermare, in Cassazione, una condanna a cento anni di carcere complessivi, in nome di un reato, “devastazione e saccheggio”, che rappresenta uno dei tanti detriti giuridici, figli del codice penale fascista, il cosiddetto Codice Rocco.
Un reato concepito nel chiaro intento, tutto politico, di perseguire chi si opponeva al regime fascista.
Oggi è utilizzato ipotizzando una “compartecipazione psichica”, anche quando non sussiste associazione vera e propria tra le persone imputate; recuperato per annichilire qualsiasi espressione del dissenso, uno spauracchio ingombrante, grazie al quale è più facile comminare pene enormi a chi si vuole colpire.
Pene persino superiori a quelle previste per reati come l’omicidio.
In questo modo, quindi, si lascia alla completa discrezionalità politica degli inquirenti e dei giudici il compito di decidere se applicarlo o meno.
E’ inaccettabile che, a ottant’anni di distanza, quest’aberrazione giuridica rimanga nel nostro ordinamento e sia usata per condannare eventi di piazza così importanti, che hanno coinvolto centinaia di migliaia di persone, come le mobilitazioni contro il G8 a Genova nel 2001.
In questi 11 anni, in Italia e non solo, i governi hanno dato vita ad una sperimentazione continua degli apparati di controllo, costituita dal connubio indissolubile tra la le misure repressive attuate nelle piazze e i sottili meccanismi preventivi e punitivi.
Alle lotte sociali che si moltiplicano in questa fase di crisi sistemica del capitale contro i licenziamenti, l'occupazione militare e la devastazione dei territori, l'attacco alle pensioni, al lavoro e allo stato sociale, si risponde con la moltiplicazione dell’attività repressiva degli apparati dello stato e con la restrizione delle libertà democratiche.
Un filo rosso, quindi, che passa anche per i dispositivi penali rispolverati dai tempi bui della storia del nostro paese, come il reato di devastazione e saccheggio.
Non possiamo permettere che, dopo dieci anni, Genova finisca così.
Invitiamo tutte/i lavoratori del Ministero dell’Economia e delle Finanze a far sentire la propria voce firmando l’appello che chiede l’annullamento della condanna per devastazione e saccheggio per tutti gli imputati e le imputate.
E’ una battaglia che riguarda la libertà di tutte e tutti.

L’appello lo trovate qui
Lavoratori Autorganizzati
Ministero dell'Economia e delle Finanze

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