Ministero dell'Economia e delle Finanze

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giovedì 4 luglio 2013

La Consulta e la rappresentanza.

La Corte Costituzionale, nella camera di consiglio di ieri, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 19, 1° c. lett. b) della legge 20 maggio 1970, n. 300 "Statuto dei lavoratori" nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale (RSA) sia costituita anche nell'ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie di contratti collettivi applicati nell'unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell'azienda.
Siamo ben consapevoli che tale questione, per chi come noi ha trascorso gran parte della loro esperienza nel rivendicare il diritto di democrazia e di rappresentanza nei luoghi di lavoro, non appassiona più di tanto i lavoratori, soprattutto in un contesto ministeriale come il nostro e dove l'attenzione è rivolta a come sopravvivere quotidianamente alla ferocia del padronato.
Crediamo, però, che sia opportuno spiegare, per chi avrà la voglia di approfondire il tema, la nostra posizione al riguardo in relazione anche all'odioso accordo siglato nello scorso mese di maggio tra padronato e sindacati collaborazionisti, per il quale la possibilità di esercitare i diritti sindacali era condizionato alla sottoscrizione degli accordi e alla rinunzia allo sciopero.
Il 31 maggio, infatti, i padroni di Confindustria e i vertici di CGIL, CISL, UIL e UGL hanno raggiunto un’intesa in materia di rappresentanza e rappresentatività sindacale.
L’accordo era stato salutato in modo entusiasta dal presidente di Confindustria e dalle direzioni confederali dei sindacati firmatari.
Persino Re Giorgio lo ha portato ad esempio, fra un pugno di miliardari e milioni di disoccupati, come la favola della "coesione sociale".
Risulta chiaro che questo accordo è stato firmato in un contesto economico e politico ben preciso: una crisi sistemica profonda e di lunga durata che scuote le strutture e le sovrastrutture del capitalismo, il cui peso viene gettato completamente sulle spalle dei lavoratori; impoverimento di massa, disuguaglianze sociali sempre più marcate, un governo di "larghe intese" al servizio esclusivo del capitale finanziario, ampiamente screditato agli occhi delle masse, che va avanti nella politica di austerità e di guerra.
In questo quadro, quello che teme di più la borghesia, è il riaccendersi dello scontro sociale, come sta avvenendo in altri paesi.
Ciò spinge i padroni ed i loro complici a prendere misure per cercare di mantenere la "pace sociale", perché sono consapevoli che i lavoratori sfruttati non saranno disposti a sopportare a lungo questa situazione.
L’obiettivo è quello, pertanto, di tagliare fuori, disorganizzare e reprimere i settori più combattivi del proletariato.
L’accordo, quindi, rientra in questa logica e va in parallelo con le controriforme elettorali e quelle istituzionali in cantiere.
Si tratta di aspetti di un solo processo reazionario che sta subendo un’accelerazione nella situazione creata dal perdurare della crisi economica, dal diffondersi del malcontento e della rabbia fra i lavoratori e dall’offensiva reazionaria dei monopoli capitalistici.
I padroni puntano a intensificare lo sfruttamento, a incrementare il ricatto occupazionale, a distruggere gradualmente tutte le residue conquiste dei lavoratori per rialzare i profitti e competere con i loro concorrenti.
Perciò pretendono l' "esigibilità" dei contratti-truffa e degli accordi capestro per le ristrutturazioni e i licenziamenti di massa, i ribassi salariali, la flessibilità.
Vogliono procedere su questa strada senza trovare ostacoli da parte della conflittualità diffusa, ma ancora, purtroppo, non organizzata.
Da parte loro, i pseudo sindacati si spostano ancora più a destra.
Mentre la classe dominata abbandona i tradizionali partiti parlamentari e si radicalizzano, costoro si trasformano in un centri di smobilitazione e crumiraggio dei lavoratori per puntellare il capitale finanziario e i suoi governi.
Ma criticare ed opporsi a quest'accordo, solo dall'angolo visuale della soglia di sbarramento per accedere al tavolo, tipico di alcune realtà sindacali alternative, non è il nostro percorso poiché l'intenzione ci pare essere quella non più di rispondere alla domanda di cambiamento da parte dei lavoratori, ma di sostituirsi ai sindacati confederali nell’esercizio della rappresentanza.
La nostra esperienza dimostra, invece, che socialmente esiste uno spazio per l’autorganizzazione attorno al tema dei diritti.
Riteniamo che la presenza ai tavoli di contrattazione non è l’orizzonte politico-sindacale, anzi.
La scomposizione del lavoro determinata dalle logiche di esternalizzazione e della precarizzazione di massa trova, spesso, nello sfruttamento intensivo tanto del fattore lavoro, quanto del fattore ambiente, una resistenza "territoriale" in grado anche di ricomporsi e di rivendicare diritti in maniera autonoma.
Il diritto alla salubrità dell’ambiente, ad un orario di lavoro dignitoso, il diritto alla malattia, il diritto alla parità di condizioni di lavoro e di retribuzione sono spesso in grado di determinare ricomposizione e conflitto, perché non accettano mediazioni.
Il tema vero è, quindi, sul piano sociale, prima ancora che sindacale.
Questo è il punto centrale di tutto il ragionamento che deve essere sviluppato.
Oggi, non esiste un tecnicismo giuridico che possa essere efficace sul terreno della conquista della rappresentanza; il problema non è quello di chiedere una legge che consenta di sedersi ai tavoli nazionali con sindacati confederali, padroni e governo.
La conquista della rappresentatività, dal punto di vista delle lotte, si può dare solo in termini di rapporti di forza.
Non ci riconosciamo, perciò, nelle squadre che partecipano a questo campionato e, tanto meno, ci riconosciamo nelle regole che lo presiedono.
La partita che dobbiamo giocare si svolge da un'altra parte e con altre regole.
Quello che sta avvenendo in numerose realtà lavorative, è la dimostrazione che, regole o non regole, dove il conflitto è vero, le regole sulla rappresentanza vengono scritte giorno dopo giorno, fuori dal contesto legislativo in essere.

La firma di questo vergognoso accordo, al di là della recente pronuncia di illegittimità costituzionale, pone a tutti noi, alla classe resistente il problema di come farlo saltare e respingere l’attacco al diritto di sciopero, affermando gli interessi di classe.
E’ chiaro, quindi, che ciò potrà avvenire non grazie ad una legge borghese, ma solo sulla base dello sviluppo della mobilitazione e dell’autorganizzazione autonoma della classe degli sfruttati in tutti i posti di lavoro, nelle fabbriche, nei ministeri, nelle piazze, sul territorio.

E noi, lavoratori del MEF, non siamo esentati da questo.

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