Ministero dell'Economia e delle Finanze

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martedì 24 marzo 2015

Un diverso senso comune.

Sono numerosi i lavoratori che ci hanno chiesto un nostro parere in merito alle vicende che nei giorni scorsi hanno toccato da vicino la nostra amministrazione.
Infatti, il tema della corruzione è ritornata centrale nell’agenda politica, tutti i media nazionali cavalcano questo argomento e fior fiori di intellettuali si spellano le mani nel definire scandaloso, per esempio, il fatto che non sia stata ancora approvata la legge anticorruzione.
Anche la nostra amministrazione, come abbiamo già detto, è stata colpita da questi eventi, così come da tempo l’intero “sistema Italia” delle grandi opere è al centro delle vicende giudiziarie, dall'EXPO' a Roma Capitale, dai Rolex alle assunzioni facili dei figli di papà, solo per citarne alcuni, quelli più recenti.
Le vicende che ci riguardano da vicino, hanno aperto un finto dibattito, di bassissimo spessore, tra le varie correnti sindacali esistenti che, reciprocamente, si gettano insulti utilizzando, entrambi, opportunisticamente i fatti accaduti.
Una sorta di scontro tra innocentisti e colpevolisti, tra garantisti e colpevolisti, tra buoni e cattivi, tra chi mantiene in alto il nome dell’amministrazione comunque sia e chi tende ad affossarlo a priori, con la conseguente accusa di offendere, in questo modo, l’onorabilità di tutti i lavoratori del MEF.
Noi, non cadiamo in questo tranello e, pertanto, non entreremo minimamente in questa grottesca discussione evitando di esprimere giudizi nel merito su quanto è avvenuto; ma, a scanso di ogni equivoco, e al fine di evitare i soliti sciacalli, ribadiamo che solo l’autorità giudiziaria, a conclusione delle indagini, sarà in grado di valutare la consistenza o meno delle accuse mosse nei confronti degli indagati.
Quello che a noi interessa, invece, è analizzare il “fenomeno corruzione” in un sistema economico, come il nostro, di stampo prettamente capitalista.
Infatti, il fenomeno della “corruzione dilagante” viene sviscerato, nella maggior parte dei casi, come un fatto di malcostume di una classe politica e manageriale ormai corrotta e da anni fuori controllo; peggio ancora, si sostiene che, tutto sommato, la classe politica è lo specchio della società, dunque ad una società marcia corrisponde una classe politica marcia.


Occorre, innanzitutto, sfatare questo primo assunto.
La classe dominate non è espressione della società civile, rappresentante della parte sana del corpo sociale, ma è esclusivamente portavoce della grande borghesia capitalista.
La corruzione, quindi, per noi è semplicemente un fenomeno di trasferimento di capitale dallo Stato alla borghesia; non è una causa ma un effetto.
La crisi strutturale del capitalismo, la cosiddetta crisi di sovrapproduzione, spinge le classi dominanti da un lato ad attaccare i diritti dei lavoratori e, dall’altro, a recuperare quella che il “vecchio Carletto” chiamava “caduta tendenziale del saggio di profitto” attingendo soldi direttamente dalle casse dello Stato.
Non potendo più sperare che i cittadini consumino perché non hanno soldi, allora i soldi se li prendono direttamente dalle loro tasche attraverso privatizzazioni e svendite di patrimonio pubblico.
Per fare un esempio molto semplice: se il capitalista “A” contrae un debito nei confronti del capitalista “B”, un debito che non è in grado di ripianare a causa della crisi (crisi sistemica determinata proprio dal sistema capitalista), può risolvere il problema attingendo soldi dal forziere dello stato, ad esempio, corrompendo pezzi dello stato affinché si realizzi un trasferimento di capitale verso il creditore “B”.
Queste sono state le dinamiche degli ultimi venti anni; ma c'è un problema.
E' evidente, infatti, che il fenomeno della corruzione rappresenta un “costo” per la borghesia capitalista, un costo da cancellare.
I vari intermediari rappresentano sia una spesa che un rischio e, dunque, vanno fortemente ridimensionati; per questo la classe dominante borghese tenta di diventare direttamente classe politica e, dunque, senza opposizione alcuna, avere la possibilità di trasferire risorse dallo Stato al capitale scavalcando l’intermediazione costosa della corruzione.
E' in quest'ottica che occorre leggere il progetto politico di alleggerimento delle funzioni dello stato, della cosiddetta semplificazione sbandierata come innovazione e modernizzazione, del confinamento in ambiti sempre più ristretti degli organi di controllo statale per giungere persino ad una loro soppressione.
In questo si spiega la “discesa nel campo della politica della classe borghese” ed è, anche in questa logica, che rientra e va analizzato il fenomeno della corruzione.
Ma la vera domanda è: si può arginare questo flusso di soldi dallo Stato al capitale se il governo rimane un governo borghese?
Assolutamente no, è chiaro.
E, in questo senso, la legge anticorruzione, il decalogo o la rotazione della dirigenza a cosa servirebbe?
Certamente a tagliare le gambe ai faccendieri, alle lobbies e ai loro rappresentanti politici gli unici ad ostacolare, ad emendare e a stravolgere i vari disegni legge attualmente in esame perché, in realtà, non vogliono perdere il potere acquisito nel tempo; ma non sarebbe di nessun contrasto al dissanguamento di risorse pubbliche in favore delle classi dominati.
Quindi, già da lunghi anni, conosciamo l'esistenza della corruzione che permea il nostro sistema economico e sociale per cui, siamo abituati a dire che il capitalismo è il sistema, fondato sul profitto privato e sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, che costituisce il naturale bacino di coltura e promozione della corruzione.
Ma, allora, qual è la soluzione per interrompere questo processo di progressivo impoverimento dello Stato, risolvendo di conseguenza anche il problema ad esso ormai secondario della corruzione?
Innanzitutto, a nostro parere, riteniamo che non è possibile sconfiggere la corruzione se non si elimina la causa principale: la proprietà privata dei mezzi di produzione ed il conseguente sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
Ma ciò non basta.
Il profitto privato, il diritto all'arricchimento spropositato alle spalle della stragrande maggioranza della popolazione a cui vengono riservate le briciole della ricchezza prodotta, sono la molla determinante di esistenza e riproduzione di tale sistema; il profitto, l'individualismo, l'egoismo e la giustificazione di ogni sopraffazione, valori con cui vengono educati alla vita sociale decine di milioni di esseri umani, sedimentano nella coscienze un senso comune di condivisione.
E allora, perché stupirsi dei fenomeni corruttivi?
Sull'altare della ricerca del profitto, del guadagno spropositato, dell'esercizio del potere, tutto viene sacrificato.
Dunque, ci vuole qualcosa di più dei provvedimenti strutturali atti a sradicare il fenomeno della corruzione; occorre combattere la causa che genera il fenomeno corruttivo.
Occorre, quindi, una grande e profonda battaglia ideologica e culturale fondata su un sistema di valori e ideali: il principio della legalità, dell'uguaglianza, del benessere collettivo, della produzione nell'interesse sociale, ambientale e della giustizia che devono pervadere tutta la società, al fine di creare un diverso senso comune, una diversa idealità ed etica sia individuale che collettiva.
Un diverso senso comune che deve cominciare a forgiarsi nelle lotte quotidiane, per costruire un'opposizione non solo economica e sociale ma morale e spirituale, in grado di lasciare il segno nelle menti e nei cuori degli sfruttati, degli oppressi e dei vilipesi che, spesso senza speranza, subiscono ogni giorno le gravi conseguenze della più feroce e violenta dittatura di classe borghese.
Queste sono le condizioni e i terreni di iniziativa che ci spingono a dire che solo lottando contro il capitalismo si potranno conseguire successi nella battaglia contro la corruzione.

Queste sono le sole condizioni per la costruzione di una società realmente nuova e pulita.

mercoledì 18 marzo 2015

Il duplicato.


Con un scarno focus pubblicato sull’intranetMEF (https://intranet.mef.gov.it/focus/focus_0072.html ), l’amministrazione ha reso noto che dall’anno in corso il sistema NoiPA non erogherà più il servizio di assistenza fiscale diretta.
Tale decisione è stata assunta poiché proprio da quest’anno, l’Agenzia delle Entrate ha attivato, in via sperimentale, la dichiarazione dei redditi precompilata per i lavoratori dipendenti e pensionati; pertanto, per evitare la duplicazione dei servizi offerti tramite il self service 730web, ha deciso la sospensione di questa attività.
Anzi, a rafforzare tale scelta, la stessa amministrazione afferma che da verifiche tecniche effettuate sulle modalità di erogazione del servizio, la compilazione del modello 730 in modalità self-service tramite il portale NoiPA non garantisce benefici ulteriori rispetto al modello precompilato dell’Agenzie delle Entrate.
A questo punto, occorre intenderci sulla parola “benefici”; cioè, se s’intende il maschile plurale dell’aggettivo benèfico oppure il plurale del sostantivo beneficio, quello con la pronuncia piana, per capirci.
In realtà, noi siamo convinti che l’amministrazione faccia riferimento al sostantivo plurale, cioè quello che ha, come significato, “utilità, giovamento, sollievo, favore, vantaggio”.
Ma se il servizio della compilazione del modello 730 in modalità self-service tramite il portale NoiPA “non garantisce benefici ulteriori (per chi? per gli amministrati/utenti o per l’amministrazione?) rispetto al modello precompilato dell’Agenzie delle Entrate”, vuol dire che, quanto meno, non è sottostimato, non genera svantaggi, pregiudizi, ma ha le stesse potenzialità di quello precompilato.
Insomma, non garantisce benefici ulteriori, ma continua ugualmente a garantirne.
Ma, allora, perché sospenderlo?
Per evitare un semplice duplicato, ci risponderebbero.
Quindi, se è un duplicato, vuol dire che è identico.
A questo punto, però, qualcosa non quadra.
Una semplice forma di argomentazione logica, ha bisogno di premesse per giungere ad una conclusione credibile.
Per l’amministrazione, l’introduzione della dichiarazione dei redditi precompilata, rafforzata dalla mancanza di benefici ulteriori nel confronto con il 730web, giustifica l’eliminazione di una semplice duplicazione; per noi, invece, la conclusione non può essere che un’altra.
Questa scelta (l’eliminazione di un duplicato), crea un danno rilevante non solo per gli amministrati e per gli utenti, ma per gli stessi lavoratori del MEF, per le loro tasche ormai sempre più vuote.
Il comma 2 dell’art. 51 della Legge 288/2000, cioè la Finanziaria 2001, dispone, infatti, che “i risparmi conseguiti in relazione all'espletamento del servizio di assistenza fiscale ai dipendenti delle Amministrazioni statali, accertati in sede di assestamento del bilancio dello Stato, affluiscono ai fondi destinati all'incentivazione del personale”.
Nello scorso Fondo Unico di Amministrazione (FUA) relativo all'anno 2013, queste risorse furono quantificate in 478.304,48, di cui 440.040,12 euro (92%) per le aree professionali e 38.264,36 (8%) al fondo dell’area della dirigenza; nello specifico, mediante l’accordo nazionale siglato il 24 giugno 2014 tra la parte pubblica e quella sindacale, il 37% della somma della somma destinata all’aree professionali (162.814,84 euro) fu destinata ad alimentare i fondi di sede degli uffici che erano coinvolti in tale servizio e il restante 63% (277.225,28 euro) ad alimentare il Fondo Unico di Amministrazione.
Nel 2012, la somma per il servizio di assistenza fiscale ammontò a 497.473,07 (457.675,22 euro, il 92%, alle aree professionali – 39.797,85 euro, l’8%, all’area separata della dirigenza).
Nel 2011, 623.120,88 euro (573.271,21 euro, il 92%, alle aree professionali – 49.849,67 euro, l’8%, all’area separata della dirigenza).
Quindi, il futuro FUA, sarà “alleggerito” di circa mezzo milione di euro, evidentemente dirottato verso altri lidi; tutto questo, ovviamente, non cancella la critica, più volte reiterata, mossa in merito ai criteri di erogazione e di individuazione dei destinatari della quota dei coinvolti nel servizio, da tempo oggetto di una sacca clientelare e solo ultimamente affievolita da farseschi interpelli, ormai tanto di moda nella new @governance dell’amministrazione.
Chi associa tali critiche, poi, al provvedimento di sospensione, sottintendendo una forma giustificativa della decisione presa, è uno squallido sciacallo perché, in realtà, con i suoi CAF, ormai vere aziende a scopo lucrativo, avrà solo che da guadagnarci.
Insomma, l’eliminazione del duplicato costerà parecchio ai lavoratori sia nell’aumento della difficoltà di interazione nel rapporto utente/amministrazione (obiettivo di una vera amministrazione digitale), sia in termini economici.

In realtà, questa decisione non è altro che un ulteriore ostile attacco alle condizioni di vita dei lavoratori, messo in atto da una amministrazione ormai braccio esecutivo delle politiche d’austerity governative.