Mentre
siamo asfissiati dalle roboanti promesse della campagna elettorale, l’Europa sta
per firmare un trattato che segnerà una svolta epocale nella storia della
democrazia, sostituendo definitivamente il diritto privato, in particolare
quello delle multinazionali, al diritto pubblico.
Nei
primi mesi del 2013 è stato siglato l’impegno tra gli Stati Uniti d’America e
l’Unione Europea ad avviare, e concludere, i negoziati per il Transatlantic
Trade and Investment Partnership/TTIP (Trattato Transatlantico sul commercio e
sugli investimenti), definito altrimenti Accordo di libero scambio
transatlantico (TAFTA).
Si
tratta di un accordo ovviamente composto da molti articolati, ma che nella sua
essenza è volto ad eliminare quelle che vengono definite "barriere non
tariffarie" agli scambi tra Usa e Ue.
Ovvero,
rimuovere quelle differenze normative che oggi rendono difficili gli scambi
economici di ogni genere, per lasciare ampio margine agli investimenti e
facilitare i reciproci interessi, tra cui anche la partecipazione di imprese
multinazionali agli appalti pubblici.
Si
tratta, in poche parole, di creare un enorme "free zone" di libero commercio di
merci e servizi, in cui non varrebbero più i limiti imposti dalle normative
vigenti, in molti casi frutto di conquiste ottenute dalle battaglie in difesa di
standard sociali, lavorativi ed ambientali.
Difficile,
ovviamente, non vedere come dietro questa ipotesi d’accordo non vi sia
unicamente la vocazione neoliberista a sciogliere da "lacci e laccioli"
l’iniziativa capitalistica ma, anche, il tentativo geopolitico di strutturare un
più solido legame strategico tra Stati Uniti e Unione Europea per far fronte
alla concorrenza globale delle cosiddette "economie
emergenti".
Un
tentativo, quindi, di costituire la zona più grande di libero scambio
sull’intero pianeta, comprendendo economie che coprono il 60% del Pil mondiale;
rappresenta il nuovo e ancor più massiccio attacco ai diritti sociali e del
lavoro, ai beni comuni e alla democrazia, dopo i tentativi già portati avanti
con l’accordo multilaterale sugli investimenti (Mai) negli anni ’90 e con la
direttiva Bolkestein nello scorso decennio, contro i quali si era costruita una
fortissima ed efficace mobilitazione sociale.
E il
nucleo dell’accordo sta, infatti, nel rendere "compatibili" le differenti
normative tra Usa e Ue che regolano i diversi settori dell’economia,
naturalmente all’unico scopo di rendere più libere le attività delle imprese,
permettendo loro di poter muovere senza alcun vincolo capitali, merci e lavoro
in giro per il globo.
Sarà
così possibile, per le aziende statunitensi, chiedere il drastico abbassamento
degli standard europei in materia di diritti del lavoro o mettere in sordina il
"principio di precauzione", cardine dell’Ue in materia
ambientale.
Contemporaneamente,
le aziende europee puntano ad una modifica delle severe normative Usa sui
medicinali, dispositivi medici e test, unitamente ad un allentamento del più
stretto regime di regolamentazione finanziaria.
Usa
e Ue vogliono, in sostanza, spacciare per "uscita dalla crisi" il nuovo
tentativo di realizzare l’utopia delle multinazionali, ovvero un mondo in cui
diritti, beni comuni e democrazia siano considerate null’altro che variabili
dipendenti dai profitti.
Con
un’ulteriore minaccia per la sovranità dei popoli: l’accordo, infatti, prevede
la possibilità per le multinazionali di denunciare a loro nome presso una corte
speciale, composta da tre avvocati d’affari rispondenti alle normative della
Banca Mondiale, un paese firmatario, la cui politica avrebbe un effetto
restrittivo sulla loro vitalità commerciale; potendolo sanzionare con
pesantissime multe per avere, con la propria legislazione, ridotto i possibili
futuri profitti della multinazionale denunciante.
Per
fare un esempio concreto, se il governo italiano dovesse approvare la legge
d’iniziativa popolare del Forum italiano dei movimenti per l’acqua, riconoscendo
finalmente l’esito del voto referendario del 2011, ad accordo vigente potrebbe
trovarsi sanzionato per aver impedito, con la ripubblicizzazione del servizio
idrico, futuri profitti alle multinazionali del settore.
Il
tutto, come spesso avviene per questo tipo di trattative, sta passando
assolutamente in silenzio, complice la situazione sociale determinata dalla
crisi sistemica del capitalismo e della retorica della "competitività" economica
come chiave per il superamento delle stesse politiche di
austerity.
Il
TTIP, Transatlantic Trade and Investment Partnership, oggetto di negoziati
volutamente segreti è, quindi, qualcosa di più di una semplice trattativa di
liberalizzazione commerciale.
E’
un attacco frontale che vede lobby economiche, Governi e poteri forti accanirsi
su quello che rimane dei diritti del lavoro, della persona, dell’ambiente e di
cittadinanza dopo anni di crisi economica e finanziaria da loro prodotta, in un
più ampio tentativo di disarticolare le conquiste di anni di lotte sociali con
le politiche di austerity e di redistribuzione del reddito verso
l’alto.
Si
tratta di un attacco senza precedenti ai diritti, ai beni comuni e alla
democrazia, al solo scopo di realizzare l’utopia delle multinazionali: la piena,
totale e incontrovertibile libertà d’azione e di profitto, rispetto a cui i
diritti dei cittadini, dei lavoratori, la tutela della salute e dell’ambiente
diverrebbero variabili dipendenti.
Conoscere,
discutere e mobilitarsi su quel che sta accadendo è un’occasione per denunciare
i lati oscuri dell’accordo ma, anche, per continuare ad affermare la necessità
di percorsi condivisi che guardano all’uscita dalla crisi non attraverso la
riproposizione delle logiche neoliberiste della speculazione e della
devastazione sociale ed ambientale.
Siamo
di fronte ad una vera e propria guerra alla società, giocata con l’alibi della
crisi e con il tentativo di rendere strutturali le politiche di austerità,
riducendo il lavoro, i beni comuni, la natura e l’intera vita delle persone
a fattori per la valorizzazione dei grandi capitali
finanziari.
Così
come facemmo contro il Mai e contro la Bolkestein, occorre attivare al più
presto una forte mobilitazione politica e sociale, per dire tutte e tutti che
è un’altra la via di uscita dalla crisi; passa esattamente per l’abbandono di un
modello che è contro la vita e il futuro.
Anche
in Italia si comincia a parlarne, con alcuni contributi che rompono il silenzio
intorno alla vicenda tra i quali, quello che noi modestamente proponiamo con
questa semplice info a tutti i lavoratori del nostro
ministero.
Agli
occhi di TTPI, non esistono cittadini, ci sono solo consumatori ed essi
appartengono alle società private che controllano i
mercati.