Un giorno di pioggia intensa e a Genova si manifesta, per l’ennesima volta,
l’intesa perfetta tra urbanizzazione e stagione delle
piogge.
L’ennesima, repentina, alluvione; insomma, un déjà
vu.
A una
quantomeno strana estate, è seguito un torrido settembre e, così, nel giro di
pochi giorni, le prime piogge torrenziali hanno di nuovo bussato alla porta di
Genova.
Senza
scomodare i cambiamenti climatici, certamente influenti sulle dinamiche
meteorologiche e ecologiche dell’area del mediterraneo; senza dilungarsi sui
fenomeni meteorologici importanti a cui è sottoposta questa particolare area
geografica; senza inoltrarsi nella climatologia ligure, con piogge intense e ben
localizzate, né nelle dinamiche idrografiche e del regime torrentizio ligure, è
evidente che, a Genova, così come in tante altre parti del nostro territorio, il
problema è l’urbanizzazione e la saturazione di cemento e infrastrutture, il cui
impatto sull’ambiente è, ormai, sotto gli occhi di tutti,
innegabile.
Chi dice
il contrario, chi nega, mente, parla in malafede o in
ignoranza.
La causa
dell’alluvione, degli allagamenti, di tutti i “danni” della pioggia, sono da
addebitare esclusivamente alla colata di cemento a cui è sottoposto il
territorio genovese dallo scorso secolo, a chi l’ha voluta, sostenuta e
sviluppata, a quella classe dirigente politico-economica assassina che,
tutt’ora, persevera nel gonfiarsi le tasche con la distruzione del territorio,
dividendosi il bottino con aziende, lobby e affaristi senza
scrupoli.
Non è
una caso che le zone più colpite, ancora una volta, siano i quartieri collinari
e le aree urbane a fondo delle valli genovesi.
Ma è
tutta la città di Genova, da ponente a levante, a subire di nuovo i disastri
voluti dalla classe politico-economica, fautrice locale di quel modello di
sviluppo che sta devastando il pianeta: lo sviluppo
capitalista.
Aggressione edilizia del territorio, estesi
disboscamenti, sfruttamento delle aree fluviali, urbanizzazione con il suo treno
di cementificazione, di dissesto idrogeologico e costrizione delle dinamiche
idrografiche naturali, industrializzazione, sono all’origine dell’eterna
emergenza di Genova, così come di tante altre città del nostro
paese.
Ebbene,
vediamo che negli anni la classe dirigente ha trovato sempre il modo di tradurre
i disastri che ha causato in nuovi profitti e nuovi progetti distruttivi (oltre
che in più ampi spazi di potere e controllo), di nascondere tutto sotto una
spessa coltre di menzogne; e, senza neanche domandarsi se fosse il caso di
fermarsi, ha continuato (per nulla indisturbata) a perseverare nel distruggere
il territorio per farne profitto.
Le
esondazioni dei numerosi torrenti e di quelli minori, sono fenomeni naturali; a
non esserlo sono il contesto urbano che le determina e caratterizza, in cui
avvengono e in cui sono costrette, con tutte le
conseguenze.
Ancora
una volta, quindi, un fiume di fango dovuto al dilavamento delle zone disboscate
per i cantieri del TAV-Terzo Valico, ha invaso il
territorio.
Laddove
sorgevano i boschi e le colline, sorgono ora due enormi cantieri dell’Alta
Velocità, con la sentita partecipazione del Comune di Genova, Regione Liguria e
dello Stato Italiano.
Qui,
fino all’anno scorso, vivevano le due colline, che giorno dopo giorno vedevano
la città avvicinarsi minacciosa sempre più.
I loro
boschi saldavano i versanti, impedivano il veloce scorrere dell’acqua, ne
rallentavano la forza.
Ora, lì
hanno avuto la meglio i cantieri del TAV-Terzo Valico; benne, ruspe, trivelle,
camion e gallerie hanno sostituito quelle distese di alberi e le conseguenze non
hanno tardato a presentarsi.
Ma
questo, purtroppo, è solo l’inizio.
È
l’Italia intera che rischia di crollare sotto i colpi dell’abbandono della
cultura della manutenzione e della progressiva cementificazione del
territorio.
Paghiamo, quindi, un prezzo inaudito in termini di
perdite di vite umane, di lavoro e di ricchezza di fronte a quello che sta
avvenendo; basta pensare che il decreto “Sblocca Italia”, all’articolo 7,
stanzia 110 milioni per la riduzione del rischio idrogeologico mentre,
all’articolo 3, vengono destinati quattro miliardi di euro al sistema delle
“Grandi opere”, che è affondato nella corruzione e ha svuotato le casse dello
Stato.
Chi
ancora avrà il coraggio di dire che le priorità, non solo di Genova, sono le
grandi opere, si commenta da solo; quello che abbiamo sotto gli occhi oggi,
ancora una volta, è lo scenario a cui ci vorrebbero abituare, se non fermiamo i
loro piani scellerati.
Questo è
il triste futuro a cui ci vorrebbero rassegnati e
impotenti.
Purtroppo, la realtà dei fatti ci travolge ma c’è ancora
chi si oppone a questo modello di sviluppo; c’è chi dice NO, chi lotta, chi
resiste a questa devastante e disastrosa idea di
mondo.
Lo
scenario di oggi fa rabbia, rabbia enorme; ma bisogna continuare a lottare
perché la borghesia, per esistere, deve produrre profitto anche se questo
significa devastare il territorio e mettere a repentaglio lo stesso apparato
produttivo di domani.
Il
capitalismo pensa di fornire all’uomo la capacità di migliorare la propria
esistenza controllando la natura, ma usa il pianeta come mero strumento di
produzione da sfruttare fino a mettere a repentaglio la stessa
esistenza.
Solo un
sistema basato sui bisogni delle persone e non sul profitto, può mettere fine al
saccheggio ambientale oltre che, a sfruttamento, a guerre e a
morti.